Le Carte Parlanti

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giovedì 31 maggio 2018

La Crisi di Governo in 5 punti



 salvini e di maio pagliacci


Abbiate pazienza.
 Si sta – come dice Luigi Di Maio – “scrivendo la storia”.
 O, meglio, lo storytelling, 
che preserva il linguaggio della propaganda che ha illuso gli elettori, 
svuotandolo però dei contenuti conosciuti. 

Restano così le parole d'ordine, cambia (ecco il cambiamento) il significato: la Flat tax, o tassa unica e piatta, diventa imposta con aliquota doppia; il reddito di cittadinanza non lo è e sarà pure rimandato alle calende greche, dopo la ristrutturazione, imprecisata nei modi e nei tempi, dei centri per l'impiego; la tanto strombazzata abolizione della legge Fornero farà posto a una correzione di alcuni aspetti, in prosecuzione di quanto già fatto in questi anni.

I costi previsti non saranno comunque pochi. Per recuperare le risorse si studiano le soluzioni per le 
cosiddette coperture. Tra queste, a quanto pare, potrebbe rispuntare un evergreen. L'hanno chiamata 
pace o pacificazione fiscale. In sostanza è il classico condono. Ma non diciamolo.

 Lasciamo che scrivano la storia: raccontando le favole. 

Quasi 90 giorni di crisi. E del governo neanche l'ombra. Di divisioni, ostilità, stoccate (e consultazioni andate in fumo), in compenso, ce ne sono state parecchie. Dopo il voto del 4 marzo, nessun partito è riuscito a dare vita a un nuovo esecutivo. E rapidamente siamo passati dai pre-incarichi ai presidenti di Camera e Senato alla coalizione pentaleghista, fino all'incarico fallito a Giuseppe Conte e alla chiamata al Colle di Carlo Cottarelli. Ora, come in un triste gioco dell'oca, siamo tornati al punto di partenza. Ma 
come siamo arrivati a una delle crisi più gravi della Repubblica? E che succede ora?

COME SIAMO ARRIVATI ALLA CRISI - Il 4 marzo gli italiani sono chiamati alle urne. L'esito delle elezioni, complice la legge elettorale che non consente a nessuna delle forze politiche di avere i numeri per poter formare un governo, decreta la sconfitta del Pd, che ottiene il 18,7% e il trionfo del 
centrodestra, che incassa il 37%. Il M5S guadagna invece il 32,7% dei consensi. La XVIII legislatura è pronta a decollare. Grazie a un accordo tra M5S e Centrodestra vengono eletti i presidenti di Camera e Senato: sono Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati. Mattarella inaugura il primo giro di consultazioni per la formazione del governo, ma è fumata nera. Così come il secondo round e i due pre-incarichi conferiti ai presidenti di Camera e Senato. Di Maio, nel frattempo, si divide tra due forni. Quello della Lega e quello del Pd. Non pone veti, si dice disponibile a un confronto con tutti. Ma dopo una 
prima apertura al dialogo con i 5Stelle, il Nazareno frena.

Al terzo giro di consultazioni, il Capo dello Stato avanza l'ipotesi di un governo neutrale. Ma lo scenario di un governo "di garanzia" dà una svolta all'impasse politica. Di Maio e Salvini fanno un passo indietro sulla premiership e raggiungono un'intesa. Nasce il contratto giallo-verde, il programma di governo che non manca di sollevare critiche, soprattutto per i capitoli Europa e debito pubblico. Di Maio esulta: "Sta per partire la Terza Repubblica". I due leader propongono la guida dell'esecutivo pentaleghista al professor Giuseppe Conte, ma la partita si blocca sul nome di Paolo Savona, indicato come ministro al Tesoro. Inizia il braccio di ferro con il Colle. Si tratta per giorni. Il 27 maggio l'epilogo: Conte sale al Quirinale per sciogliere negativamente la riserva, rimettendo il mandato nelle mani di Mattarella, che 
convoca Cottarelli per conferirgli l'incarico. Dopo due incontri informali, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente del Consiglio incaricato, decidono di congelare la nascita del governo di garanzia, per verificare se sia ancora possibile dar vita ad un esecutivo politico, fondato sull'intesa tra M5S e Lega. L'ultima proposta di Luigi Di Maio è far ripartire il governo gialloverde, spostando però Paolo Savona dall'Economia.

CHE SUCCEDE ORA - Quelli che seguono ora sono giorni decisivi per il governo. Se l'ex commissario alla spending review otterrà la fiducia in Parlamento il governo Cottarelli entrerà in carica per l'approvazione della legge di Bilancio 2019. Raggiunto questo obiettivo, il Parlamento verrebbe sciolto e gli italiani verrebbero chiamati alle urne a inizio 2019. Senza fiducia, invece, come sembra probabile, visto il no annunciato da 5 Stelle, Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, il governo sarebbe costretto a dimettersi e rimanere in carica per la gestione dell'ordinaria amministrazione. A quel punto le elezioni si terrebbero dopo l'estate.

LE SFIDE DEL GOVERNO - Diverse le sfide che attendono il nuovo esecutivo. Dalle questioni 
economiche, come la tenuta dei conti pubblici, l'approvazione della legge di Bilancio, la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, al capitolo nomine (tra cui quelle di due aziende di peso come Cassa Depositi e Prestiti e Rai).

NUOVE ELEZIONI, LO SCOGLIO DEL ROSATELLUM - Inoltre, se gli italiani saranno chiamati al voto dopo l'estate, il rischio di replicare gli scenari del 4 marzo appare concreto. A meno di modifiche al Rosatellum bis, la legge elettorale attualmente in vigore, nessuna forza politica godrebbe della governabilità. A quel punto le incognite sarebbero tantissime. Per correggere il Rosatellum bis sono state avanzate diverse proposte, a partire dal centrodestra. Matteo Salvini, nelle ultime ore è tornato a invocare un cambiamento della legge: "Il Parlamento ha il dovere di cambiare legge elettorale - ha detto il leader leghista - chi prende un voto in più ha diritto a governare".

REBUS COALIZIONI - Anche se è presto per fare pronostici, c'è da scommettere che il rebus coalizioni sarà uno dei tormentoni dei prossimi mesi. Chi si alleerà con chi? Alla luce dei recenti sviluppi politici non è escluso che 5S e Lega si presentino uniti alle urne. Dal canto suo, Salvini non si sbilancia, glissando sull'ipotesi di un'alleanza col M5S. "Vedremo" ha detto a Barbara D'Urso, spiegando di essere "partito con diffidenza" con i grillini ma di essersi poi ricreduto.
"Ho visto persone serie, disposte ad ascoltare e cambiare idea - ha ammesso Salvini -. Se poi questa 
diventerà un'alleanza di governo lo vedremo nelle prossime settimane, sicuramente siamo persone 
libere e senza ricatti". Berlusconi, invece non ha dubbi. Per l'Ex Cav, l'alleanza Fi-Lega-Fdi deve rimanere salda.''Alle prossime elezioni'' ha fatto sapere in una nota, non c'è ''altra soluzione che quella di una coalizione di centrodestra unita''.


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martedì 29 maggio 2018

Governo M5S-LEGA e gli Analisti Finanziari

 Salvare Italia

 A OTTOBRE IN ITALIA SARÀ LA CATASTROFE
 (INIZIA LA GUERRA)

Dall’Europa, quella politica e delle grandi banche, sono già partite intimidazioni e minacce, dopo quanto è filtrato in tema di tasse, pensioni, reddito di cittadinanza e quant’altro del contratto di governo messo a punto da Lega e 5 Stelle. E le minacce potrebbero trasformarsi in guerra a ottobre, quando l’ombrello aperto sui nostri titoli di Stato da Mario Draghi 
grazie al Quantitative Easing verrà meno.

L’ombrello resterà aperto fino a settembre: fino lì la Banca centrale europea continuerà nel programma di acquisto titoli deciso ormai da qualche anno e che ha contribuito in maniera decisiva a mantenere bassi i tassi d’interesse dei nostri titoli di Stato, consentendo al nostro Paese di pagare nel 2017 interessi sul proprio debito pubblico pari a 65,6 miliardi di euro, ovvero la cifra più bassa in valore assoluto dagli anni Novanta. Ma da ottobre…

Quanto è accaduto nel 2011 non è al momento immaginabile (spread a circa 540), ma il differenziale tra Btp e Bund che si è inerpicato a quota 170 punti è comunque un segnale. Non bastasse, il quotidiano Il Messaggero riporta gli analisti di Mediobanca che definiscono “semplicemente inaccettabile in Europa” la richiesta di cancellazione di una parte del debito pubblico del nostro Paese con l’Europa. Giuseppe Sersale di Anthilia Capital Partners, citato sempre dal quotidiano romano, la definisce una proposta “surreale e irrealizzabile”.

E tra gli operatori, scrive sempre Il Messaggero, si diceva ieri che “se davvero questo è il tono del dibattito, c’è da aspettarsi una fase di rapporti tempestosi con l’Europa”. Uno scenario che fino a settembre il nostro Paese potrà reggere, ma che rappresenta un’incognita quando da ottobre il fronte delle banche guidato dalla Bundesbank spingerà per chiudere i rubinetti. Per Marco Palacino di BNY Mellon “gli investitori danno già per scontato che il debito della periferia europa accuserà il colpo, per cui è lecito attendersi un aumento dello spread tra Btp e Bund nell’ultimo trimestre dell’anno”.



L'EURO VIVRA' MA VOI MORIRETE
Mario Draghi,
ha dichiarato in occasione della conferenza stampa della Bce del 4 Aprile scorso;
 frasi che nessun giornale ha colto, ma che, come leggerete, sono di fondamentale importanza alla luce del dibattito attuale sulla permanenza nell’euro...




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lunedì 28 maggio 2018

Lettera Aperta di Paolo Savona a Sergio Mattarella

Lettera Aperta di Paolo Savona a Sergio Mattarella


NO A CESSIONI SOVRANITA’

Caro Presidente,

per il rispetto che porto all’istituzione che presiede e a Lei personalmente, è con molta ansia che Le indirizzo questa lettera aperta riguardante una scelta che considero fondamentale per il futuro dell’Italia: la cessione della sovranità fiscale per far funzionare la sovranità monetaria europea, dato che questa è stata ceduta dagli Stati-membri senza stabilire quando e come si dovesse pervenire all’indispensabile unione politica necessaria per rendere irreversibile l’euro, né attribuire alla Banca Centrale Europea il potere di svolgere la funzione  di lender of last resort in caso di attacchi speculativi come quelli che abbiamo vissuto dopo la crisi finanziaria americana del 2008.

Invece di affrontare questi due problemi vitali per il futuro dell’Europa si chiede di sottoscrivere un accordo per cedere la sovranità fiscale residua che, per pudore, viene chiamata “gestione in comune”. Il Presidente della Bundesbank ha riproposto e precisato i contenuti in un recente discorso.

Leggo sui giornali che Lei avrebbe concordato con il Presidente della BCE e il Ministro dell’economia e finanza italiano una strategia in attuazione del previsto accordo. Non credo di dovere spiegare a Lei perché nomino istituzioni e non persone. Penso che queste notizie siano suggerimenti di persone scriteriate (l’aggettivo è di un Suo illustre predecessore, Luigi Einaudi) che, non fidandosi più del Paese, ammesso che mai se ne siano fidate, lo vogliono colonizzare; una sorta di fastidio per i disturbi che provengono per i loro interessi. Spero che la notizia sia infondata, perché se non lo fosse, sarebbe Suo dovere smentirle, secondo un insegnamento che mi ha dato Ugo La Malfa: se un notizia è falsa, non si smentisce, se è vera, si deve farlo; e, aggiungeva che, se i contenuti della notizia erano particolarmente importanti – come sarebbe la cessione della sovranità fiscale che marcherebbe la fine della democrazia italiana senza che ne nasca un’altra – non si doveva solo smentire, ma farlo in modo energico.

A ogni buon conto, se una tale scelta maturasse, Lei non potrebbe ratificarla, perché  l’art. 11 della Costituzione dice chiaramente che l’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Naturalmente diranno che la decisione risponde a queste condizioni (pace, giustizia e parità con altri Stati) ma, sulla base dell’esperienza fatta con la cessione all’Unione Europea della sovranità di regolare i mercati e di battere moneta, queste sono pure ipotesi, una vera truffa per taluni e un’ingenuità per altri, che né la scienza economica (mi passi il termine), né la politica, che pretese di scienza non ha mai avuto, possono asseverare.

I trattati internazionali sono contratti giuridici tra nazioni e l’oggetto del Patto stipulato a Maastricht in attuazione dell’Atto unico e ribadito a Lisbona nel 2000 parla chiaro: all’art. 2, punto 3, afferma che L’Unione …. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri.

Le chiedo, caro Presidente, se Lei ritiene che questo impegno sia stato adempiuto e quali siano, anche dopo l’esperienza della crisi greca, le probabilità che lo possa essere anche ipotizzando di cedere la parte residua della sovranità nazionale in cambio (il termine è già un eufemismo) di un’assistenza finanziaria accompagnata da vincoli che violano il dettato della nostra Costituzione che Lei è deputato da tutelare. Invece di uscire dal paradosso di un non-Stato europeo formato da non-Stati nazionali si intende approfondire questa strana configurazione istituzionale, perché appare vantaggiosa a pochi paesi capeggiati dalla Germania.

Poiché la tesi del vantaggio che potremmo ricavarne è priva di fondamento, da tempo si insiste nello spargere terrore su quello che avverrebbe se l’euro crollasse, trascinando il mercato unico, aggiungendo la ciliegina della speranza che in futuro le cose andranno meglio e che si va facendo di tutto affinché ciò avvenga.

Vivere nel terrore del dopo e nelle speranze che le cose cambino, senza attivare gli strumenti adatti affinché ciò avvenga, non è posizione politica dignitosa. L’Italia non si è tirata indietro quando è stato chiesto di pagare un costo elevato in termini di vite umane per giungere all’unità e per uscire dalla dittatura nazifascista perché sapeva valutare il costo di rimanere nelle condizioni in cui si trovava, spero che la nuova classe dirigente non si tiri indietro e sappia chiedere e far accettare un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.

Per l’Italia non esiste alternativa al chiedere il rispetto congiunto del dettato costituzionale e dell’oggetto del Trattato europeo vigente e Lei ne è garante.

Paolo Savona

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Da Previti a Savona, tutte le volte che il Colle ha stoppato la nomina di un ministro.
Il «no» di Mattarella a Paolo Savona a ministro dell’Economia non è senza precedenti. Esistono infatti vari episodi nei quali il Quirinale ha rivendicato con forza le sue prerogative, “costringendo” al passo indietro premier incaricati su alcuni ministri. Dal caso Previti fino al più recente no a Gratteri. Tutto nasce dall’articolo 92 della Carta,,, 






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No di Mattarella a Paolo Savona

No di Mattarella a Paolo Savona


Da Previti a Savona, 
tutte le volte che il Colle ha stoppato la nomina di un ministro.

Il «no» di Mattarella a Paolo Savona a ministro dell’Economia non è senza precedenti. Esistono infatti vari episodi nei quali il Quirinale ha rivendicato con forza le sue prerogative, “costringendo” al passo indietro premier incaricati su alcuni ministri. Dal caso Previti fino al più recente no a Gratteri. Tutto nasce dall’articolo 92 della Carta, secondo cui il capo dello Stato, nella scelta dei ministri, non è un mero esecutore delle volontà dei partiti: «Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri».

Il precedente di Previti
Il caso più eclatante fu quello di Cesare Previti, avvocato di Silvio Berlusconi. Nel 1994, il leader di Forza Italia, ottenuto l’incarico di formare un governo, tentò di farlo nominare Ministro di Grazia e Giustizia, ma fu stoppato del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (che lo dirottò alla Difesa, mentre Guardasigilli divenne Alfredo Biondi), memore, tra l’altro, del fatto che durante la campagna elettorale avesse dichiarato: «Vinceremo le elezioni e poi non faremo prigionieri».

Il caso Maroni e il no al ministero della Giustizia
Non solo. Siamo nel 2001, durante la fase di formazione del secondo Governo Berlusconi . La Lega aveva indicato Maroni come ministro della Giustizia, ma poi a quel dicastero finì un altro leghista, Roberto Castelli, mentre a Maroni andò il Lavoro. «Sarebbe davvero imbarazzante se il veto a Roberto Maroni fosse venuto dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per la questione dell’inchiesta Papalia, ovvero per una questione basata sul codice fascista Rocco», disse con parole di fuoco Umberto Bossi, allora leader del Carroccio. Il riferimento è all’inchiesta per resistenza a pubblico ufficiale su Maroni e altri leghisti quando questi si opposero alle perquisizioni richieste dal procuratore di Verona Guido Papalia.

Il no di Napolitano a Gratteri Guardasigilli
Già nel nel 2000 Carlo Azeglio Ciampi chiese a Giuliano Amato di confermare il futuro capo dello Stato Sergio Mattarella, che nel governo di Massimo D’Alema era ministro della Difesa. In tempi più recenti, Giorgio Napolitano, nel 2014, sconsigliò a Matteo Renzi di mettere in lista il procuratore di Reggio Calabria Nicola Gratteri, perché la sua nomina avrebbe contraddetto la regola non scritta secondo cui un magistrato in servizio non può assumere l’incarico di ministro della Giustizia. In quel caso la decisione fu accettata da Renzi, che nominò alla Giustizia Andrea Orlando.

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Carlo Cottarelli

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Carlo Cottarelli (Cremona, 1954) è un economista italiano

Laureato in Scienze Economiche e Bancarie presso l'Università di Siena, ha conseguito il master in Economia presso la London School of Economics. Ha lavorato nel Servizio Studi della Banca d'Italia (1981-1987), Dipartimento monetario e settore finanziario, e dell'Eni (1987-1988).

Dal settembre 1988 lavora per il Fondo monetario internazionale (FMI) nell'ambito del quale ha fatto parte di diversi dipartimenti: Dipartimento europeo, del quale è stato vicepresidente; il Dipartimento monetario e dei capitali; il Dipartimento Strategia, Politica e Revisione, del quale è pure stato vicepresidente, occupandosi tra l'altro di riforma della sorveglianza; il Dipartimento Affari Fiscali. Nel 2001 è stato Senior Advisor nel Dipartimento Europeo come responsabile per la supervisione della attività del FMI in una decina di Paesi, ed è capo della Delegazione del FMI per l'Italia e per il Regno Unito. In passato è stato capo delle delegazioni del FMI per diversi Paesi europei tra i quali l'Ungheria e la Turchia.

Dal novembre 2008 al 2013 ha assunto l'incarico di Direttore del Dipartimento Affari Fiscali del FMI. Inoltre è stato responsabile per lo sviluppo e la pubblicazione di Fiscal Monitor, una delle tre riviste del FMI. Ha scritto diversi saggi sulle politiche e istituzioni fiscali e monetarie, libri sull'inflazione, politica monetaria e tassi di conversione.


Nel novembre 2013 è stato nominato dal Governo Letta Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica. L'attività del Commissario straordinario riguarda le spese delle pubbliche amministrazioni, degli enti pubblici, nonché della società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche che non emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.

Il 1° novembre 2014, su nomina del Governo Renzi, è diventato direttore esecutivo nel Board del Fondo Monetario Internazionale. Per questo motivo il 30 ottobre del 2014 ha lasciato l'incarico di commissario alla revisione della spesa. In un'intervista rilasciata poco prima del termine dell'incarico ha parlato della difficoltà a relazionarsi, prima ancora che con il sistema politico, con quello burocratico, a suo dire chiuso ed estremamente impermeabile ad ogni azione finalizzata a modernizzarne l'attività.

Dal 30 ottobre 2017 è il Direttore dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani 
dell’Università Cattolica di Milano.

Presidente del Consiglio incaricato

In seguito al tentativo fallito da parte di M5S e Lega di formare un governo dopo le elezioni politiche del 2018, il 28 maggio 2018 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella convoca Cottarelli e gli conferisce l'incarico di presidente del Consiglio dei ministri, accettato con riserva.

Nella dichiarazione successiva alla convocazione, Cottarelli specifica che in caso di fiducia il Parlamento approverebbe la legge di bilancio per il 2019, quindi verrebbe sciolto con l'indizione di nuove elezioni politiche per l'inizio del 2019; in assenza di fiducia invece il governo si occuperebbe del disbrigo degli affari correnti per guidare il Paese alle elezioni dopo l'agosto del 2018. Garantisce inoltre la neutralità del governo e l'impegno a non candidarsi alle successive elezioni.

Nella stessa dichiarazione il presidente del Consiglio incaricato assicura una prudente gestione dei conti pubblici italiani e la difesa degli interessi nazionali attraverso un dialogo costruttivo
 con l'Unione Europea.


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domenica 27 maggio 2018

Brasile: Sciopero dei Camionisti, quinto giorno di tensione

Sciopero


Sciopero camionisti, Brasile in tilt. Economia in emergenza
Sciopero dei camionisti: quinto giorno di tensione in Brasile per chiedere una riduzione del prezzo del carburante. E' emergenza nazionale e il presidente Michel Temer ha inviato l'esercito per riaprire il traffico. Nel Paese seri problemi di approvvigionamento di cibo e carburante. Undici aeroporti nel caos, voli cancellati per mancanza di carburante. Il porto di Santos, principale terminale navale dell'America Latina, è isolato e a Brasilia, San Paolo e altre città le autorità hanno sospeso le lezioni a scuola. Lunghe file per fare il pieno a prezzi gonfiati nelle stazioni di servizio, negli ospedali scarseggiano le medicine. La reazione di Temer è stata respinta dai sindacati dei camionisti: "Se i militari vogliono togliere i blocchi, allora correrà sangue".




L'economia brasiliana soffre: il settore automobilistico è bloccato perché non riceve pezzi necessari per la catena di montaggio, i mezzi del trasporto pubblico in molte città sono fermi, in tv scorrono immagini dei mercati e supermercati vuoti perché non arrivano i prodotti. 
Mancano soprattutto frutta e verdura fresca.

Questo Succede perchè sono succubi del Petrolio,
invece di utilizzare le Ferrovie per la distribuzione.
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giovedì 24 maggio 2018

Dove sono le risorse per le promesse elettorali?


"Cambiare senza distruggere", "riprendere in mano il cantiere delle riforme istituzionali per garantire la governabilità", e poi "c'è il nodo delle risorse. Non è affatto chiaro dove si recuperano le risorse per realizzare i tanti obiettivi e le promesse elettorali". E’ il leader di Confindustria, Vincenzo Boccia, a riassumere così dal palco dell’assemblea generale il sentiment della platea
 degli industriali verso il nuovo governo.

Da Boccia arriva anche il monito a non fare passi indietro sulla Tav, Tap e sul Terzo Valico. "Le infrastrutture - scandisce - sono la precondizione per costruire una società inclusiva e ridurre i divari". Un'adeguata dotazione infrastrutturale, spiega, consente al nostro Paese di recuperare una "favorevole centralità " tra Europa e Mediterraneo. "Una centralità che però - aggiunge - rischiamo di perdere irrimediabilmente rimettendo in discussione scelte strategiche per il nostro futuro, a partire dal Terzo Valico, dalla Tav e dal Tap, condannando così il nostro Paese, i suoi cittadini e le sue imprese, a una posizione di marginalità e di isolamento. E a una enorme perdita di credibilità". "Perché se passa l'idea che a ogni cambio di maggioranza politica si torna indietro su scelte strategiche per la nostra economia, è la nostra credibilità che mettiamo in discussione", ammonisce Boccia.

Il presidente di Confindustria esprime inoltre la perplessità del mondo industriale sull’incertezza che da mesi grava sul destino dell'Ilva, al centro di una difficilissima vertenza con gli indiani di ArcelorMittal e oggi al centro di una possibile ‘rivisitazione’ del programma da parte del governo M5S-Lega. "Possiamo non condividere il protezionismo americano", dice dal placo dell’assemblea nazionale, "ma oggi l’America parla di produrre più acciaio mentre da noi si vuole chiudere l’Ilva, la più grande acciaieria d’Europa". Per questo, conclude, "viene da chiedersi se sia possibile cambiare continuamente le carte in tavola, 
per di più nell’anno in cui entriamo nella top ten dell’attrattività internazionale".

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Giuseppe Conte è stato indicato da Movimento 5 Stelle e Lega Nord come presidente del Consiglio del loro futuro governo. Conte ha 54 anni, è nato a Volturara Appula, in provincia di Foggia, è un avvocato civilista e insegnante di diritto, e non ha mai fatto politica... 

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martedì 22 maggio 2018

Giuseppe Conte, chi è ed altre cose da sapere



La persona indicata da M5S e Lega
 come nuovo presidente del Consiglio
 è un avvocato di 54 anni e non ha mai fatto politica.

Giuseppe Conte è stato indicato da Movimento 5 Stelle e Lega Nord come presidente del Consiglio del loro futuro governo. Conte ha 54 anni, è nato a Volturara Appula, in provincia di Foggia, è un avvocato civilista e insegnante di diritto, e non ha mai fatto politica. Il suo nome è stato annunciato lunedì pomeriggio da Luigi di Maio 
dopo avere incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Dal 2013 Giuseppe Conte è componente del Consiglio di presidenza della Giustizia Amministrativa, scelto dal Parlamento. Quando il Movimento 5 Stelle lo candidò per quell’incarico, scrive Repubblica, presentò un “curriculum di 18 pagine” e i giornali di oggi insistono molto sulle sue esperienze lavorative e di studio. Le più importanti, tra quelle che dichiara, sono la laurea in Giurisprudenza del 1988, gli studi di perfezionamento a Yale e alla New York University (che ha però smentito che Conte abbia studiato lì) e le docenze di Diritto Privato all’Università di Firenze e all’università LUISS di Roma. Conte, che lavora come avvocato a Roma e ha un suo studio legale, è anche avvocato patrocinante in Cassazione. Giuseppe Conte è stato inoltre il legale nella complessa vicenda sul caso Stamina della famiglia di Sofia, bambina con una grave malattia neurodegenerativa non curabile.

Di Conte non si era parlato molto fino a poche settimane fa, quando prima delle elezioni il Movimento 5 Stelle lo aveva indicato come ministro della Pubblica Amministrazione di un futuro eventuale governo Di Maio. Durante l’evento di presentazione della squadra di governo, Conte fu elogiato da Di Maio per il suo impegno per la de-burocratizzazione dell’amministrazione pubblica e lui stesso – parlando dei suoi obiettivi da futuro ministro – fece riferimento alla “semplificazione della pubblica amministrazione” e alla “cultura della legalità” da promuovere e valorizzare tra gli italiani.


In quell’occasione Conte raccontò di avere avuto i suoi primi contatti con il Movimento 5 Stelle nel 2013, quando gli fu chiesto di diventare membro del Consiglio di presidenza della Giustizia Amministrativa, l’organo di autogoverno della giustizia amministrativa. «Luigi Di Maio ricorderà, fui molto chiaro», disse Conte, «per onestà intellettuale precisai: “non vi ho votato”, e precisai anche “non posso neppure considerarmi un simpatizzante”, non li conoscevo. In questi quattro anni in cui ho svolto questo incarico non ho ricevuto una telefonata che potesse in qualche modo interferire [..] nel delicato incarico che ho ricoperto». Intervistato a DiMartedì pochi giorni dopo, insistendo sulla sua parziale estraneità al Movimento 5 Stelle, Conte disse che «il mio cuore è tradizionalmente battuto a sinistra».

Durante la presentazione del futuro governo del Movimento 5 Stelle, Conte elogiò molto il “senso delle istituzioni” dei rappresentanti del Movimento 5 Stelle e disse che a convincerlo a candidarsi a ministro di un loro futuro governo fu la composizione delle liste elettorali e «l’apertura a esponenti della società civile, a figure professionali, figure competenti. Un laboratorio politico meraviglioso, incredibile».

Parlando di quale sarebbe stato il suo programma di lavoro da ministro, Conte insistette molto sulla necessità di semplificare il «farraginoso» quadro normativo italiano e di combattere «l’ipertrofia normativa». Disse che sarebbe stato necessario un censimento di tutte le norme, per potere abrogare le «leggi inutili»; disse che sarebbe stata necessaria una grossa semplificazione della macchina burocratica dello Stato e un riassetto delle autorità indipendenti – «sono decine, ci sono sovrapposizioni di competenze e vuoti legislativi» – e parlò della necessità di rivedere le norme anticorruzione. Conte parlò anche della necessità di «valorizzare la meritocrazia», varando «un programma straordinario di riqualificazione del personale pubblico» e cambiando il modo in cui sono distribuiti gli incentivi economici ai lavoratori dell’amministrazione e, chiudendo il suo intervento, disse che sarebbe stato necessario rivedere integralmente quella che chiamò la riforma della «cattiva scuola», la riforma dell’istruzione approvata dal governo Renzi.

In altre occasioni, prima che di lui si parlasse per incarichi politici, Conte aveva presentato più estesamente le sue idee per la riforma della giustizia amministrativa, di cui ha più volte riconosciuto l’utilità e l’importanza ma anche quelli che secondo lui erano diventati dei limiti al suo funzionamento. Ne aveva parlato in un convegno dello scorso giugno alla Camera. Non sono note quindi le sue opinioni su tantissime altre questioni di cui dovrà occuparsi eventualmente da presidente del Consiglio, né le sue attitudini e capacità politiche nel guidare e gestire un governo, visto che non ha precedenti esperienze amministrative.





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lunedì 21 maggio 2018

Venezuela: Maduro ha vinto Elezioni Democratiche

  
Posso testimoniare da
 osservatore internazionale,
 ( Giorgio Cremaschi )

Ho visto le file ordinate e serenamente sedute del popolo ai seggi. Quel popolo colpito da una terribile guerra economica scatenata degli USA dalla UE e da tutte le forze reazionarie dell'America Latina. Il sistema di voto elettronico ha garantito segretezza e correttezza, chi dice il contrario mente sapendo di mentire.

Certo ha pesato il boicottaggio di una parte dell'opposizione che per paura di perdere ha rifiutato il voto sempre richiesto. E ha anche pesato la terribile difficoltà della vita quotidiana causata dalla super inflazione e dall'imboscamento di beni essenziali, tutta opera di forze capitaliste colpevoli di di azioni violente sul piano economico e sociale.

Lo dico agli ipocriti europei: in Venezuela c'è una parte del popolo che critica il governo non perché troppo socialista, ma perché lo accusa di essere troppo tollerante con chi accaparra medicine e cibo e accumula ricchezze con la speculazione.


In queste sofferenze enormi la partecipazione ha sfiorato 
la metà degli elettori e è un risultato importante. 
Maduro è stato eletto presidente con una partecipazione al voto 
superiore a quella con cui venne eletto Trump. 
Che insieme ad una compagnia internazionale di mascalzoni ora non riconosce il voto.


Come i governi golpisti di Brasile, Paraguay, Guatemala. E come la UE che sostiene la dittatura fascista Ucraina. USA UE e i loro servi stanno colpendo il Venezuela con sanzioni prive di qualsiasi giustificazione politica e morale, che sono la causa principale delle sofferenze di quel popolo. Tutto questo perché il Venezuela è il solo grande produttore di petrolio che non intenda subire il dominio degli Stati Uniti.

Colpiscono il popolo nei suoi bisogni vitali fondamentali, eppure il popolo venezuelano non si fa intimidire, anzi l'ho visto usare il diritto al voto con fermezza, passione e allegria.
Maduro ha vinto elezioni regolari e lo posso testimoniare, ma soprattutto può dirlo un popolo che resiste ad una aggressione economica pari a quella che colpì il Cile di Allende. È quel popolo che ha vinto e tutti noi lo dobbiamo ringraziare per la lezione di coraggio che ci dà.

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Ho tante ragioni per essere contro la UE, ma ora c'è anche la vergogna. Mi sono vergognato in Venezuela di essere un cittadino UE, formalmente così siamo catalogati agli aeroporti, per le parole di Federica Mogherini. La rappresentante dell'Unione per la politica estera è uscita dal mutismo che l'ha colpita durante la strage dei palestinesi, i bombardamenti in Siria, le violenze naziste in Ucraina e tanti altri crimini internazionali, per intervenire sulle elezioni in Venezuela. 





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Previsioni per il 2018






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In Venezuela mi vergogno dell'Unione Europea


 come osservatore internazionale

di Giorgio Cremaschi

Ho tante ragioni per essere contro la UE, ma ora c'è anche la vergogna. Mi sono vergognato in Venezuela di essere un cittadino UE, formalmente così siamo catalogati agli aeroporti, per le parole di Federica Mogherini. La rappresentante dell'Unione per la politica estera è uscita dal mutismo che l'ha colpita durante la strage dei palestinesi, i bombardamenti in Siria, le violenze naziste in Ucraina e tanti altri crimini internazionali, per intervenire sulle elezioni in Venezuela. 
La UE non le riconoscerà, ha detto. 

Come fa la UE a non riconoscere la validità di elezioni cui ha rifiutato di mandare suoi osservatori, nonostante l'invito formalmente ricevuto? In base a che cosa disconosce un voto prima che ci sia stato, solo per gli ordini di Trump? 

Il passato capo del governo socialista in Spagna, il moderato Zapatero da anni mediatore del dialogo tra governo e opposizioni, presente in Venezuela per il voto, ha posto la stessa domanda. Come si fa a disconoscere un voto prima che sia effettutato? Soprattutto perché esso viene effettuato con le stesse regole delle elezioni precedenti, mai contestate per la loro regolarità, soprattutto la volta che le opposizioni vinsero. 

Come gruppo di osservatori internazionali siamo stati in una scuola dove si stanno organizzando nove seggi e abbiamo seguito l'organizzazione di uno di loro. Prima di descrivere la procedura di voto, vorrei però soffermarmi parlare sugli scrutatori e sui presidenti di seggio. In base alla legge essi sono gente del quartiere in cui si vota, estratti dalle liste elettorali e chiamati ad un compito che è considerato dovere civico e che si può rifiutare solo per comprovati motivi. Essi sono quindi tutta gente del popolo, la più semplice e normale, il volto segnato dalle fatiche quotidiane.

Il voto è integralmente elettronico. Il riconoscimento dell'elettore avviene con il suo documento e poi con l'impronta digitale del pollice. Solo se questa corrisponde al nome contenuto nel registro degli elettori si attiva il computer per il voto. A questo punto l'elettore accede allo spazio isolato e coperto, un tavolo cabinato, nel quale si vota. Con il dito tocca il volto del candidato nella lista prescelta sullo schermo, e poi lo conferma al computer. La macchina emette la ricevuta con il voto , l'elettore la piega, esce dalla cabina, la intruduce in un'urna.

Poi conferma che ha votato nell'apposito albo degli elettori del suo seggio. 

Lo spoglio dei voti avverrà con le ricevute nelle urne e con il conteggio elettronico. I dati verranno inviati poi al centro calcolo nazionale, tutto per via elettronica, una via inattaccabile come hanno detto tanti esperti e ha ribadito lo stesso Zapatero nella conferenza stampa che ho sentito. 

Ho voluto fare questo racconto della procedura di voto, perché sia chiaro che essa è una delle più democratiche oneste e trasparenti al mondo, confrontatela con quella di casa nostra...
Ma Maduro è un dittatore, scriveva ancora ieri Il Corriere della Sera, perché alle elezioni non ha avversari. Falso, ci sono due candidati di destra e uno di sinistra. Il principale di essi Falcon, di cui ho visto foto giganti e manifesti, faceva parte del coordinamento delle opposizioni di destra. Ha rotto con esse per partecipare al voto, con il suo programma ultra liberista molto simile a quello del presidente Macrì in Argentina. Le altre opposizioni invece hanno deciso di boicottare le elezioni presidenziali, nonostante le avessero più volte richiesto nel passato e nonostante si voti con le stesse identiche procedure che avevano sempre accettato. Perché? Evidentemente perché hanno pensato di perdere e questo non possono permetterselo, loro e soprattutto il loro mandante USA. Dove vuole arrivare chi boicotta elezioni democratiche si è chiesto Zapatero? Lui non si è risposto, noi lo diciamo: alla guerra civile e all'intervento militare americano. A questo stanno lavorando le opposizioni che non vogliono le elezioni, gli stati reazionari e golpisti dell'America Latina e naturalmente Trump. La signora Mogherini sta con questa compagnia, con il Guatemala ed il Paraguay, dove ci sono vere dittature sanguinarie, che tra l'altro hanno seguito gli USA nella scelta assassina di trasferire le proprie ambasciate a Gerusalemme. 

Ma perché verso il Venezuela c'è questa ossessione occidentale? Se lo è chiesto Maduro ricevendo gli osservatori internazionali di tutti i i continenti. Per la scelta socialista del governo bolivariano o per il petrolio, o per tutte e due? Su questo, su cosa i golpisti vogliono prendere e su cosa vogliono distruggere in Venezuela, torneremo. Intanto vergogniamoci dei mass media, della Mogherini e della UE che sul Venezuela adottano e diffondono le peggiori bugie di Caracas.

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Posso testimoniare da osservatore internazionale,
 ( Giorgio Cremaschi )
Ho visto le file ordinate e serenamente sedute del popolo ai seggi. Quel popolo colpito da una terribile guerra economica scatenata degli USA dalla UE e da tutte le forze reazionarie dell'America Latina. Il sistema di voto elettronico ha garantito segretezza e correttezza, chi dice il contrario mente sapendo di mentire... http://cipiri.blogspot.it/2018/05/venezuela-maduro-ha-vinto-elezioni.html


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Usa, sparatoria al liceo in Texas


Dieci morti
Sospetto assalitore ha 17 anni. 
Polizia: 
“Trovati tubi bomba”

Le forze dell'ordine hanno confermato che le vittime sono 9 studenti e un professore. Nel campus del Santa Fe High School e nella zona circostante sono stati trovati degli esplosivi: si tratta di tubi bomba e pentole a pressione. Testimoni alla Cnn: "È iniziato tutto dopo un'esercitazione anti-sparatoria". 
Il Buffo presidente Donald Trump ha annunciato che farà tutto quello che è in suo potere per proteggere gli studenti (ridicola e scontata affermazione). 
Quella di oggi è la 22esima sparatoria in un liceo statunitense dall'inizio del 2018, 
in una Nazione dove le Armi si possono Comprare come le Caramelle.

Ha aperto il fuoco subito dopo un’esercitazione anti-sparatoria. Pistola in mano, è entrato in una classe dove si stava svolgendo una lezione di Arte, facendo dieci morti (nove studenti e un docente). Il presunto autore è il 17enne Dimitrios Pagourtzis, riferisce la Cbs, ed è stato arrestato insieme a un altro sospetto dopo circa un’ora dalla sparatoria. Entrambi, ha dichiarato lo sceriffo Ed Gonzalez, sono studenti della scuola. Successivamente la polizia ha ritrovato diversi esplosivi nel campus dell’istituto, il Santa Fe High School, e nella zona circostante. Si tratta di tubi bomba e pentole a pressione, su cui ora sono al lavoro gli artificieri.

Le modalità e l’autore della carneficina ricordano da vicino quanto accaduto in Florida, lo scorso febbraio, quando Nikolas Cruz fece una strage nell’high school di Parkland. Questa volta il teatro dell’ennesima sparatoria in un liceo è il distretto scolastico di Santa Fe Independent, in Texas, dove si contano anche diversi feriti, trasportati nell’ospedale della vicina Galveston. Tra loro c’è un agente, ignote le loro condizioni.

Anche il presunto autore della strage è rimasto ferito, riferisce la Cnn, ma sta collaborando con le autorità. E iniziano a uscire informazioni sulla sua vita. Secondo il sito Khou, Dimitrios Pagourtzis in passato ha pubblicato sui social una sua foto in cui indossa una t-shirt con scritto Born to kill (Nato per uccidere) e altre immagini di una giacca verde con simboli nazisti. Da quanto si apprende, il giovane gioca a football nel team della scuola ed è membro della squadra di danza di una chiesa greca ortodossa locale. La polizia fa sapere inoltre che non risultano a suo carico documenti di acquisto di armi da fuoco.

“La giornata era cominciata normalmente, avevamo finito la prima ora e poi è scattata l’esercitazione anti-sparatoria”, ha dichiarato una ragazza che frequenta il liceo texano dove è avvenuta la strage. “Cinque minuti dopo abbiamo sentito dei colpi“. L’istituto scolastico, a una trentina di miglia da Houston, è in lockdown e alcune fonti parlano di un conflitto a fuoco con gli agenti prima dell’arresto. Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che su Twitter scrive: “Le prime notizie non sembrano buone. Che Dio benedica tutti”. Il capo della Casa Bianca ha poi aggiunto ai media che “da troppi anni, da troppi decenni piangiamo per le perdite di vite. La mia amministrazione è determinata a fare tutto quello che è nel nostro potere per proteggere i nostri studenti, rendere sicure le nostre scuole e togliere le armi a chi costituisce una minaccia per se stesso e per gli altri”. Fra le soluzioni indicate da Trump quasi tre mesi fa c’è anche quella di fornire armi ai docenti, ipotesi che ha scatenato un’ondata di polemiche in America.

Poco dopo la sparatoria, nella cittadina texana di 13mila abitanti un uomo con una bandiera americana, un cappellino col nome di Trump e una pistola al fianco si è presentato davanti alla telecamere. Voleva andare davanti alla scuola e “rendere nuovamente grande l’America”, ha dichiarato ai giornalisti, rispolverando lo slogan elettorale del presidente Usa. Un gesto che ha scatenato l’ira di un passante: “Questo idiota sta camminando sulla strada con una dannata pistola al fianco quando abbiamo dei bambini colpiti con arma da fuoco. Anche io sono a favore delle armi – ha spiegato alle telecamere – e ne ho una, ma questo va in giro dicendo che bisogna fare di nuovo grande l’America. Non è questo ciò di cui il nostro Paese ha bisogno”. Quella di Santa Fe è la terza sparatoria in una scuola negli ultimi sette giorni, la 22esima dall’inizio dell’anno negli Stati Uniti.


MANIFESTAZIONE CONTRO LE ARMI
L'evento è stato preparato per settimane 
da quanti ritengono che la Casa Bianca
 e il Congresso non abbiano fatto abbastanza per limitare il ...

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Italia secondo paese più vecchio al mondo



Declino demografico per il terzo anno consecutivo, che ha portato la popolazione italiana a 60,5 milioni di residenti, e per il nono anno nascite in calo: l'Italia è un paese 'vecchio', il secondo più vecchio al mondo con una stima di 168,7 anziani ogni 100 giovani al 1° gennaio 2018. E' il quadro che emerge dai dati relativi alla popolazione italiana contenuti nel rapporto Istat. Dal 2015 il nostro Paese è entrato in una fase di declino demografico. Al 1° gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni di residenti, 
con un'incidenza della popolazione straniera dell'8,4% (5,6 milioni).

La popolazione totale diminuisce per il terzo anno consecutivo, di quasi 100 mila persone rispetto all'anno precedente. Si accentua contemporaneamente l'invecchiamento della popolazione, nonostante la presenza degli stranieri caratterizzati da una struttura per età più giovane di quella italiana e con una fecondità più elevata. Per il nono anno consecutivo le nascite registrano una diminuzione: nel 2017 ne sono state stimate 464 mila, il 2% in meno rispetto all'anno precedente e nuovo minimo storico. Si diventa genitori sempre più tardi. Considerando le donne, l'età media alla nascita del primo figlio è di 31 anni nel 2016, in continuo aumento dal 1980 (quando era di 26 anni).

OCCUPAZIONE - Nel 2017 - rileva l'Istat - aumenta l'occupazione anche se l'incremento maggiore riguarda il tempo determinato. I lavoratori dipendenti a tempo pieno infatti aumentano di 99 mila unità, +lo 0,8%, i dipendenti a termine +298 mila (+12,3%), mentre continuano a diminuire i collaboratori (-46 mila nell'ultimo anno). Gli occupati part time sono 4,3 milioni, il 18,7% degli occupati, contro il 20,3% nell'Ue, con un'incidenza sul totale degli occupati stabile in entrambi i casi. Le donne sono i tre quarti degli occupati part time, sia in Italia sia nella Ue (73,3 e 73,6%). Dalla fotografia scattata dall'Istituto inoltre si conferma il ruolo dell'istruzione quale fattore protettivo: nel 2017 il tasso di occupazione cresce per tutti i livelli di istruzione, ma l'incremento più elevato è per i laureati, che hanno quasi recuperato il livello del 2008 (-0,3 punti). Nel 2017 risultano occupati quasi otto laureati su dieci, due diplomati su tre e solo quattro persone su dieci con la licenza media. Guardando i settori produttivi, nel 2017 quasi il 90% della crescita dell'occupazione è concentrata nei servizi. Gli occupati aumentano nell'industria in senso stretto ma a ritmo più contenuto rispetto al 2016 mentre per la prima volta dal 2009 la variazione è positiva anche nelle costruzioni (+0,9%). Il settore agricolo registra invece un calo dell'1,4%. Le ore utilizzate di Cassa integrazione guadagni (Cig) diminuiscono in tutti i settori di attività economica. Le posizioni in somministrazione nel 2017 sono 294 mila rispetto alle 238 mila del 2016 (+23,5%); l'aumento è stato del 71,1% tra 2013 e 2017.

NEET - Nel 2017 i giovani tra i 15 e i 29 anni non occupati e non in formazione (Neet) scendono sotto i 2,2 milioni. Dopo il forte calo registrato nel 2016 - spiega l'Istat - la diminuzione risulta più debole nel 2017 (-25 mila, -1,1%), alimentata in gran parte dalle donne. Il segmento più numeroso tra i Neet è comunque costituito da persone in cerca di occupazione (898 mila persone, il 41,0% del totale). La probabilità di trovare un'occupazione in 12 mesi nel 2017 è stata più elevata fra gli uomini, fra i residenti al Nord e fra coloro che possiedono un titolo di studio universitario. Per il quarto anno consecutivo si riducono gli inattivi tra i 15 e i 64 anni, che nel 2017 sono sotto i 13,4 milioni. Il calo è stato meno intenso rispetto al 2016 ma comunque rilevante (-242 mila unità, -1,8%); rispetto al 2008 se ne contano quasi un milione in meno.


DISOCCUPATI - Nel 2017 - rileva l'Istat - il numero dei disoccupati diminuisce del 3,5% (-105 mila), rafforzando la contrazione già segnalata nel 2016. Questa tendenza si rispecchia nella contestuale diminuzione del tasso di disoccupazione, che passa dall'11,7% del 2016 all'11,2%.

INFLAZIONE - Nel mese di aprile 2018, si stima che l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, aumenti dello 0,1% sul mese precedente e dello 0,5% su base annua (da +0,8% registrato a marzo), confermando la stima preliminare. Secondo l'Istat il rallentamento dell'inflazione, in parte frenato dall'accelerazione dei prezzi dei Beni alimentari (da +0,5% di marzo a +1,3%), si deve prevalentemente all'inversione di tendenza dei prezzi dei Beni energetici regolamentati' (da +5% a -1,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +2,5% a -0,7%), cui si aggiunge quella, meno marcata, 
dei prezzi dei Servizi relativi alle comunicazioni (da +0,4% a -0,7%).

CARRELLO SPESA - I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,4% sul mese precedente e dell'1,2% rispetto ad aprile 2017 (+0,4% a marzo). Lo rileva l'Istat, aggiungendo che i prezzi dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto salgono dello 0,3% su base mensile e dell'1,4% su base annua (in accelerazione da +0,8% del mese precedente). "Le tensioni su alcuni prodotti di largo consumo hanno determinato un'accelerazione dei prezzi dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto, che incidono per il 40% sulla spesa delle famiglie. I consumatori sperimentano quindi - è il commento dell'Istat - dinamiche dei prezzi contrastanti mentre, dal punto di vista macroeconomico si conferma, rafforzandosi, il contesto di bassa inflazione di fondo che caratterizza ormai da diversi anni la nostra economia".

DISEGUAGLIANZA SOCIALE - Sul fronte della diseguaglianza sociale, Roma, a differenza di Milano, presenta zone di vulnerabilità anche in centro. E' quanto emerge dal rapporto annuale dell'Istat, che ha analizzato tre grandi città, Milano, Roma e Napoli. "Attraverso un indice sintetico di vulnerabilità sociale e materiale e un indicatore di valore immobiliare delle città è possibile mettere in luce le differenze tra le diverse zone urbane", spiega l'Istituto, secondo cui "Milano ha una struttura radiale, che procede per espansioni a partire dal centro storico per cerchi concentrici che si sono via via definiti nel tempo. Le aree più benestanti coincidono con quelle con i più alti valori immobiliari e si addensano soprattutto nel centro geografico della città mentre le zone con più alta vulnerabilità sociale e materiale si trovano tutte al di fuori del nucleo centrale della città". Quanto a Roma, "ha un'articolazione più complessa, dove emergono sia gli sviluppi borghesi di 'Roma nord', sia i più recenti cambiamenti socio-economici di alcuni quartieri a tradizione popolare dovuti al trasferimento in zona di segmenti di popolazione più benestante. Nella capitale zone vulnerabili sono presenti anche nelle aree centrali della città, dove ci sono elevati valori immobiliari, ma la loro concentrazione è massima soprattutto nelle aree prossime al Grande raccordo anulare, a Nord-ovest come ad Est". Napoli, infine, "presenta un evidente contrasto da Ovest, dove si trovano le zone più benestanti e meno vulnerabili, a Est (e all'estremo Nord del territorio comunale), dove accade il contrario".

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