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domenica 18 marzo 2018

Sul caso Moro hanno mentito tutti


Il 16 marzo di quarant’anni fa veniva rapito il segretario della Democrazia Cristiana. Antonio Ferrari, storico giornalista del ”Corriere”, ne ha scritto un libro nell’81, che vede la luce solo oggi. Un romanzo che mette in fila tutte le incongruenze della pagina più nera della nostra repubblica
«Aldo Moro? Voleva emancipare l’Italia dall’abbraccio soffocante degli americani. Così come Berlinguer voleva emancipare il Pci dall’abbraccio soffocante di Mosca. Per questo il leader della Dc è stato rapito e ucciso». Antonio Ferrari non è l’ultimo dei cospirazionisti. Settant’anni, storica penna del Corriere, di cui è stato a lungo inviato in Medio Oriente, il 16 marzo del 1978, era un giovane cronista che si occupava di terrorismo e di lotta armata. Tre anni dopo quel giorno, il giorno in cui fu rapito Moro - poi ucciso 55 giorni dopo - il suo giornale gli chiese di scriverne un libro. Un romanzo, scelse lui, «60% verità, 20% finzione e 20% zona grigia», avvertendo però «che tante cose che scriverò non vi piaceranno». Risultato? Rizzoli non pubblicò mai “Il Segreto”, che ha visto la luce solo lo scorso anno per Chiarelettere, intatto nel testo, con la sola aggiunta di una postfazione, in cui Ferrari racconta la genesi turbolenta del libro: «Il giornale mi chiese di scrivere di Moro per lavarsi la coscienza dopo lo scandalo P2 che per il Corriere fu devastante: tutti, dal presidente all’amministratore delegato, sino al direttore a non so quanti giornalisti facevano parte di una loggia di criminali».

Un attimo, Ferrari: che c’entra la P2 col rapimento di Aldo Moro?
Sono sempre più convinto che avesse ragione Tina Anselmi: 
per capire il caso moro bisogna partire dalla P2.

Perché?
La P2 era un’organizzazione che voleva creare un sovrastato che doveva controllare tutto, eventualmente creare le precondizioni per un colpo di Stato.

Come mai tutta questa smania di fare un colpo di Stato in Italia?
Dobbiamo fare un salto indietro al 1964, in questo caso, quando va in crisi il primo governo di centrosinistra guidato proprio da Aldo Moro. È in quel contesto che il generale Giovanni de Lorenzo, comandante dell’Arma dei Carabinieri, decide di elaborare un piano per prendere il potere, si dice con la complicità del presidente della Repubblica Antonio Segni.

Ancora: perché?
Perché Moro aveva uno scopo che non piaceva alla destra del suo partito, e nemmeno ad americani e britannici. Noi siamo stati governati per cinquant’anni dallo stesso partito. È una condizione quasi unica al mondo, nei paesi democratici. Moro voleva si sfidassero una grande forza di sinistra progressista e una forza di destra moderata, o quantomeno allargare l’area di governo ai comunisti, che allora avevano superato il 30% dei consensi.

E questo non piaceva agli americani?
No, e nemmeno ai russi. Jimmy Carter, molti anni dopo, mi disse che loro avevano avuto molto a cuore il caso Moro. Ma negli Usa c’era chi non ci voleva liberi dell’abbraccio molto ingombrante di Usa e Gran Bretagna sul nostro Paese. L’Italia era Paese di frontiera tra blocco Nato e comunismo.


Non avevano tutti i torti, però. Noi avevamo un partito comunista, non socialista, che fino a Berlinguer, almeno, prendeva ordini da Mosca...
Però con Berlinguer si stava staccando dall’Unione Sovietica. E per Moro andava favorito questo distacco del Pci da Mosca, così come voleva emancipare la Democrazia Cristiana da Washington. Ma così come c’era un pezzo del Pci che non voleva mollare Mosca, c’era un pezzo di Democrazia Cristiana - e di establishment del Paese - che non voleva un’Italia emancipata. Il piano Solo, il tentato golpe del 1964, fu il primo tentativo eversivo per andare contro al disegno di Moro, approfittando della crisi del suo primo governo di centrosinistra. Il presidente Segni arrivò addirittura a consultare il generale De Lorenzo, capo dei golpisti, per la formazione di un nuovo governo. Siamo stati a un passo dalla dittatura militare: già allora il piano era quello di deportare in Sardegna 270 tra politici e dirigenti statali. E di uccidere Moro.

Addirittura ucciderlo?
Fu Mino Pecorelli a denunciarlo, tre anni dopo, in un articolo apparso su “ll nuovo mondo d’oggi”. A ucciderlo avrebbe dovuto essere il tenente colonnello dei paracadutisti Roberto Podestà.

Insomma, Moro è sopravvissuto per quattordici anni, prima di morire davvero 
per Mano delle Brigate Rosse…
Non solo. Secondo la figlia Maria Fidia era il padre era il vero obiettivo dell’attentato all’Italicus del 1975. Salito proprio su quel treno sul treno alla stazione Termini per raggiungere la famiglia in villeggiatura in Trentino venne fatto scendere da alcuni funzionari del Ministero, suoi collaboratori, a causa di alcune carte che avrebbe dovuto firmare.

Ma come mai questo accanimento contro un politico solo?
Andreotti, in un’intervista ha rivelato che nel 1974, Moro subì una vera e propria aggressione da Henry Kissinger, con minacce pesantissime. Moro era un problema anche per la sua politica filo araba in Medio Oriente, che proseguiva l’azione del suo grande amico Enrico Mattei. Una politica che non piaceva alle sette sorelle del petrolio, all’America e pure al Regno Unito, che aveva interessi in Iraq e in generale in tutto il mondo arabo.

Andreotti. Il sequestro Moro avvenne il giorno del giuramento del suo governo. Che ruolo ebbe, secondo lei, il presidente del consiglio in carica nella gestione di quei 55 giorni?
Quando ho scritto il libro, trentasette anni fa, pensavo che Andreotti fosse l’anima nera di tutta la vicenda. Sbagliavo. Il personaggio più ambiguo di tutti, nel caso Moro, è stato Francesco Cossiga, allora ministro dell’interno. La moglie di Moro ha raccontato che non l’ha mai più cercata dopo la morte di suo marito, nonostante fossero amici. Diciamo che l’ambiguità di Cossiga rafforza la tesi dell’eterodirezione della vicenda Moro.

Non è ambigua anche la posizione di Berlinguer? Perché il segretario del Pci si schierò per la linea della fermezza, contro ogni trattativa per salvare Moro?
Berlinguer era per la linea della fermezza e faceva bene. Era convinto che non sarebbe mai stato liberato. E che legittimare le Brigate Rosse sarebbe stato pericoloso. Io credo avesse ragione lui, e che avesse ragione Sciascia. Sciascia dice che Moro era favorevole a prendere tempo, non a trattare. La linea della trattativa di Craxi è un atto di generosità e furbizia politica di Craxi, che capisce che deve smarcarsi da tutti, per dar corpo alle sue ambizioni. Ma Craxi, peraltro, era amico del fondatore di Hyperion, Corrado Simoni.

Hyperion, ecco. Secondo molti è la chiave che spiega l’eterodirezione del rapimento di Moro…
È una strana scuola di lingue fondata da brigatisti a Parigi, piena zeppa di spie. L’ex brigatista Enrico Franceschini la definisce “una specie di Parlamento degli 007”. Questa scuola nasce uno o due anni prima del sequestro, sembra creata apposta. Man mano che si avvicinano i giorni del sequestro Moro, compaiono tante piccole Hyperion a Roma, Milano, Como, Parigi, Londra. E chi nelle Br teneva i rapporti con Hyperion, andando su e giù da Roma a Parigi è quello che molti ritengono essere l’infiltrato della Brigate Rosse, Mario Moretti. L’uomo che prelevò Moro, quello che lo interrogò, quello che si dice abbia ucciso.

Cosa le fa pensare che Moretti fosse infiltrato?
Tante cose. Innanzitutto, che le Br erano piene di infiltrati. Franceschini dice che quando hanno scelto di abbracciare la lotta armata, nelle Br c’erano da uno a tre infiltrati. E che a un certo punto erano più gli infiltrati dei brigatisti.

Però dice anche che definire Moretti una spia fosse riduttivo…
Non nega. Dice che è riduttivo. Faccio un esempio: nel 1990 Andreotti scoperchiò la storia di Gladio un'organizzazione paramilitare clandestina italiana organizzata dalla Nato e dalla Cia. Di quell’organizzazione, Moro parlò nel suo memoriale dalla prigionia, denunciandone l’esistenza. Perché le Br non rivelarono mai, durante la prigionia, quelle pagine del memoriale? Sarebbe stato uno scandalo clamoroso. A domanda precisa di un giudice, Moretti disse che avevano sottovalutato quella rivelazione.

Parliamo anche della seduta spiritica dei sette professori, cui partecipò anche Romano Prodi. Quella in cui uscì il nome di Gradoli….
Sul caso Moro hanno mentito tutti, dal primo all’ultimo. Quei professori si dice organizzarono la seduta spiritica per far emergere un nome che, si dice, Beniamino Andreatta aveva ascoltato all’università di Cosenza da Franco Piperno, capo di Autonomia Operaia, amico dei brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda, e, al pari di Andreatta, professore nell’università calabrese. Comunque, esce questo nome, Gradoli, e le forze dell’ordine vanno a cercare Moro in una località con quel nome. La vedova Moro, a quel punto, va da Cossiga, chiedendogli se esistesse una via Gradoli a Roma. Cossiga la liquida sbrigativo, dice che non risulta dalle Pagine Gialle. Il problema è che via Gradoli a Roma non solo esiste, ma è pure in una zona in cui i servizi avevano un mare di appartamenti. Strano che il ministro degli interni non lo sapesse. Comunque in via Gradoli, al numero 96, c’era veramente un covo delle Br, uno dei più importanti, e in quel covo ci stavano, guarda caso, Mario Moretti e Barbara Balzarani.

È la vicenda più paradossale del caso Moro, quella di Gradoli?
No, c’è pure quella del lago della Duchessa. Nello stesso giorno in cui fu scoperto il covo di via Gradoli, siamo ad aprile, un falso comunicato delle Brigate Rosse dice di cercare il cadavere di Moro in questo lago. Si dice che a realizzare quel comunicato fu il falsario d'arte Tony Chichiarelli, legato alla Banda della Magliana. Io sono convinto che quella storia fu inventata dai servizi segreti, con un obiettivo: convincere le Brigate Rosse a fare in fretta ad ammazzare Moro, che per loro era già morto.

Lei fra l’altro dice nel libro che Moro non fu materialmente ammazzato dalle Brigate Rosse. Cos’è? Il 60% di verità, il 20% di finzione o il 20% di zona grigia?
Io continuo a pensare che il presidente della Democrazia Cristiana sia stato liberato e ucciso successivamente. La maggioranza delle Brigate rosse voleva liberare Moro, una minoranza, i brigatisti vicini a Hyperion, no. Sono convinto di questo e diversi magistrati me l’hanno confermato.



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