Le Carte Parlanti

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Mundimago

domenica 25 giugno 2017

Stefano Rodotà, grazie professore


Le abbiamo voluto bene come a un padre

Si dice “padri della patria” per indicare chi ha fatto da guida. Salutando Stefano Rodotà, dobbiamo dire addio a un padre, a cui tutti dobbiamo qualcosa. E non è mai una questione semplice perché si sente il vuoto, perché quando manca un riferimento a cui chiedere consiglio, da interpellare nei momenti cruciali, ci si sente spaesati e più soli. Quando Rodotà prendeva una posizione aveva un peso. E’ quel peso, la sua autorevolezza, che mancherà terribilmente. Non sarà facile colmare il vuoto, e non è retorica, non è piaggeria, non è nemmeno il dolore che, pur non essendo familiari, si può provare senza vergogna. Sottovoce torniamo a dire una parola semplice e che può essere condivisa da tanti: grazie, professore.

Volevamo dirle grazie, professore, per tutte le volte che ci ha fatto da bussola, che ci ha messi in guardia, che ci aiutati a capire. Lo facciamo noi solo perché, per mestiere, l’abbiamo tante volte disturbata in questi anni; ma le sue parole sono di tutti. Il valore della collettività, cioè la forza dell’essere una comunità che esiste perché si sta insieme, era uno dei suoi punti fermi. Per questo non ha mai fatto mancare la sua autorevole voce nelle battaglie importanti, quando qualche diritto era in pericolo, quando si profilavano all’orizzonte le prepotenze del potente di turno, quando – ed è accaduto tante volte – si tentava di scardinare la Costituzione. I beni comuni, quasi naturalmente, erano associati a Stefano Rodotà. La lezione più importante, nel discorso pubblico che ha portato avanti con costanza sui diritti, era questa: ricordava a ogni cittadino che poteva davvero pretendere i suoi diritti. Il lavoro, la casa, l’istruzione, la salute, l’amore. Per uno stato di diritto e dei diritti.

Di lei ci fidavamo, a lei ci saremmo affidati; anzi: le avremmo (in tantissimi) affidato volentieri la nostra Repubblica così acciaccata, sapendo che era nelle mani di un galantuomo, innamorato della Costituzione e fedele ai suoi principi. Mai li avrebbe traditi per qualche compromesso al ribasso, per accontentare qualcuno, per un interesse. Ed è questo ad aver creato una formidabile empatia tra una “riserva della Repubblica”, come si diceva una volta, e il popolo: per lei il popolo non era mai declinato nello spregiativo “-ismo”, era sempre – sempre – uno degli elementi costitutivi dello Stato. Non suddito, protagonista. Proveremo a onorare questa eredità.

Non bisognerebbe avere pensieri miseri in questi momenti, ma dobbiamo confessare che la livella della morte disturba: dopo, nel ricordo, tutto si annacqua e tutti diventano “grandi”; si dimenticano i torti. Non ci sono classifiche, per carità!, come direbbe lei, e il segno che Stefano Rodotà lascerà nella storia nel nostro Paese passa non solo dalle sue battaglie politiche, non solo da quella straordinaria possibilità non colta (quando poteva essere presidente della Camera e non è stato eletto nel ‘92, quando poteva diventare presidente della Repubblica e non gli è stato consentito, quattro anni fa). Ma anche dalla sua lungimirante intelligenza di studioso del diritto, che prima di tutti aveva capito quanto le tecnologie avrebbero influito nella vita delle persone, quanto avrebbero potuto essere una possibilità di crescita e insieme un pericolo su cui vigilare. Una volta, il Fatto emetteva i primi vagiti, ci chiamò per dire “Grazie per l’attenzione, però io non sono un costituzionalista”. C’era una didascalia sbagliata. Costituzionalista però lo era diventato, per meriti sul campo, anche se aveva sempre insegnato diritto civile.

Si dice “padri della patria” per indicare chi ha fatto da guida. Salutando Stefano Rodotà, dobbiamo dire addio a un padre, a cui tutti dobbiamo qualcosa. E non è mai una questione semplice perché si sente il vuoto, perché quando manca un riferimento a cui chiedere consiglio, da interpellare nei momenti cruciali, ci si sente spaesati e più soli. Quando Rodotà prendeva una posizione aveva un peso. E’ quel peso, la sua autorevolezza, che mancherà terribilmente. Non sarà facile colmare il vuoto, e non è retorica, non è piaggeria, non è nemmeno il dolore che, pur non essendo familiari, si può provare senza vergogna. Sottovoce torniamo a dire una parola semplice e che può essere condivisa da tanti: grazie, professore. Le abbiamo voluto tanto bene.


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martedì 20 giugno 2017

Pubblicità: Grande Fratello del Consumo


Pubblicità: 
l’omino del Supermercato ci svela
 il Grande Fratello del Consumo

L’omino del Supermercato nel video pubblicitario, si accorge di un bambola sotto uno scaffale in piena notte – tanto per non sfatare la tradizione –
e decide di rivedere il nastro delle telecamere per “identificare” la
bimba che ha perduto il giocattolo.
Un attimo dopo, il solerte commesso suona al campanello della
bimba che si affaccia sognante in braccio alla mamma. Come ha trovato l’indirizzo?
 Andando a spulciare le fidelity card dei clienti?

Questo è il contenuto dello spot, che lascia ampi spazi di criticità sull’utilizzo dei nostri dati sensibili. Poi c’è la mia pratica quotidiana, che mi vede impegnato nella difesa dei lavoratori del settore. Di sale controllo di quegli shopping center ne ho viste molte e spesso ho sbirciato il comportamento degli addetti alla sorveglianza.
Mezzi elettronici degni del miglior film di controspionaggio e decine di schermi LCD,
capaci di riprendere ogni singolo angolo del supermercato. Dai commenti sessisti ai danni delle
clienti – zummate nel fondo schiena o nel Décolletè – all’utilizzo improprio delle immagini: stampate e date in forma fotografica agli addetti per cercare fantomatici sospetti di furto.

Sembra una delle solite pubblicità che vedono protagonista l’ormai famoso omino del Supermercato, ma quel racconto svela quanto clienti e lavoratori subiscono ogni giorno.
La scusa è la tutela del patrimonio, ma
in realtà lo spiegamento di telecamere che si celano sui soffitti e negli spazi interni dei supermercati e dei centri commerciali, servono a ben altro.

Passi che l’omino del Supermercato si alzi in piena notte:
“amore c’è un problema tra la gente”… A rischio
mette il suo matrimonio ed eventualmente si becca un bel paio di corna da una moglie ormai esausta.

Ma se l’omino fruga tra le nostre vite attraverso la videosorveglianza e la tracciabilità della nostra carta fedeltà, il problema è ben diverso e ci riguarda tutti.

Qualcuno, poco abituato a frequentare quei non luoghi se non per fare la spesa settimanale o qualche
acquisto quotidiano, potrebbe obiettare che in fondo si tratta di uno spot pubblicitario. Soltanto di uno spot pubblicitario. Ma qual è il confine tra quella finzione e la realtà quotidiana?
La risposta è: nessuno!

Ma non finisce certo qui. I più controllati impropriamente sono i lavoratori, seguiti finanche nella sala ristoro o all’ingresso dei bagni e videocontrollati in ogni singola mossa.
“Repubbliche” del consumo:
videosorvegliate, transennate, con guardie private armate ad ogni angolo e dove ogni cittadino può
ingannevolmente sentirsi ricco, ma dove in realtà è prigioniero inconsapevole.
E lo spot ha svelato l’inganno del Grande Fratello… buoni acquisti.

Postato da un Sindacalista del Commercio.

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martedì 6 giugno 2017

Totò Riina



La Cassazione: «Vecchio e malato, Riina non può stare in carcere»

Rispetto dei diritti umani. Ogni cittadino italiano deve oggi sentirsi più forte nel sapere di appartenere a uno Stato che non ha paura di difendere la dignità anche del più criminale dei criminali

La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha rigettato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che lo scorso anno aveva negato a Totò Riina il differimento della pena – o in subordine la detenzione domiciliare – per motivi di salute, spingendolo a tornare a esaminare nuovamente la richiesta. Riina, che ha compiuto l’ottantaseiesimo anno di età, è affetto da più di una grave patologia. I giudici di Sorveglianza avevano valutato che il monitoraggio costante da parte dei medici operanti in carcere, unito alla possibilità per l’uomo di venire ricoverato in una struttura esterna al momento del bisogno, fossero sufficienti a garantire una compatibilità tra le condizioni di salute di Riina e la sua detenzione.

Oggi la Cassazione afferma che ciò costituisce solo una parte della storia. Totò Riina, come qualunque essere umano, possiede un corpo, che deve essere salvaguardato nel proprio diritto fondamentale alla salute e alle cure. La valutazione del Tribunale è magari adeguata rispetto alla mera tutela biologica di questo corpo fisico. Ma, ancora come ogni essere umano, Totò Riina – questo sta dicendo la Corte suprema – possiede anche una dignità. E, come a chiunque altro, deve essergli garantito il diritto a morire in una maniera che di tale dignità sia rispettosa.

L’innegabile spessore criminale avuto dal capo di Cosa Nostra, scrive ancora la Cassazione, non è tuttavia provato per quanto concerne l’attualità della sua situazione. Visto lo stato di salute e l’età avanzata di Riina, è quanto meno da dimostrare che egli abbia ancora un’influenza e una possibilità di comando nell’organizzazione di appartenenza. Ma, se pure il Tribunale fosse in grado di fornire una tale dimostrazione, resta comunque quel principio universale che la Cassazione decide oggi di affermare in relazione a una delle figure criminali più pesanti dell’intera storia italiana del dopoguerra e del nostro immaginario collettivo: chiunque ha diritto a vedere rispettata la propria dignità, nella morte quanto nella vita. La pena carceraria scontata da Riina nelle sue attuali condizioni di salute, si legge ancora nella sentenza della Cassazione,
rischia di andare oltre la «legittima esecuzione di una pena».

Ogni cittadino italiano deve oggi sentirsi più forte nel sapere di appartenere a uno Stato che non ha paura di difendere la dignità anche del più criminale dei criminali. Ciò deve valere per Riina, e deve anche valere per tutti quei detenuti ignoti che a volte sono lasciati morire in galera in stato di abbandono terapeutico.


"Secondo la Cassazione Totò Riina, molto malato,
deve uscire dal carcere perché ha diritto ad una "morte dignitosa".
Una morte dignitosa che lui, da mandante, non ha permesso a:
- Emanuele Basile, capitano dell'Arma.
- Giuseppe Russo, tenente colonnello.
- Giovanni Falcone, Magistrato.
- Paolo Borsellino, Magistrato.
- Pier Santi Mattarella.
- Pio La Torre.
- Michele Reina.
- Antonino Scoppelliti, Magistrato.
- Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale.
- Boris Giuliano, capo della mobile.
- Paolo Giaccone, professore.
- Francesca Morvillo.
- Antonio Montinaro.
- Vito Schifani.
- Rocco Dicillo.
- Cesare Terranova, Magistrato.
- Giangiacomo Montalto, Magistrato.
- Emanuela Loi.
- Agostino Catalano.
- Vincenzo Li Muli.
- Walter Eddie Cosina.
- Claudio Traina.
- Alberto Giacometti, Magistrato.
- Rocco Chinnici, Magistrato.
- Barbara Rizzo e i suoi due gemelli di 6 anni.
- i morti nelle stragi di viale Lazio e via dei Georgofili, insieme a quelli di Roma e Milano.
- Giovanni Mungiovino.
- Giuseppe Cammarata.
- Salvatore Saitta.
- Alfio Trovato.
Lasciatelo dov'è. ..e se il carcere non è dignitoso per morire perché dovrebbe esserlo per viverci ? quanti detenuti muoiono nella infermeria del carcere
senza che nessuno invochi per loro una morte dignitosa...?.
Nessuna pietà per la mafia."

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domenica 4 giugno 2017

Italia e Legge Elettorale


Chiamiamolo pure Brigantellum
Sembrava impossibile far peggio del Porcellum ed invece eccoci qui.
Questa legge è un "pacco napoletano"

Ci fosse ancora Giovanni Sartori avrebbe già intitolato alla Banda bassotti il "pacco" che ci vorrebbero rifilare chiamandolo "legge elettorale".

Sembrava impossibile far peggio del Porcellum e invece eccoci qui. Almeno la creatura suina di Calderoli aveva il pregio di dichiararsi in trasparenza: cari elettori se volete potete votare per queste liste preconfezionate, altrimenti statevene pure a casa. Orrido, ma chiaro e trasparente. Tanto è vero che fu il suo stesso autore a definirla una porcata, nessun sotterfugio, tutto alla luce del sole.

Qui invece si congegna un imbroglio da banda del buco. Si dice, caro elettore ti ridiamo finalmente la possibilità di scegliere, avrai il tuo candidato di collegio con l'uninominale!! Straordinario; e però poi ci infilano un codicillo che stabilisce che il voto non va affatto a quel candidato ma a una diversa lista bloccata. Siamo all'apoteosi del raggiro persino naif, alla Totò, Peppino e la banda del Torchio. Si giunge all'ipotesi tipica della truffa conclamata, forse con l'unica attenuante che è così spacciata che potrebbe essere solo uno scherzo; ioci causa diremmo, se non fosse che davvero ne vorrebbero fare la legge fondamentale della repubblica.

Con quale ardire lo chiamino "collegio uninominale" resta un mistero, visto che l'elettore crede di votare per quel candidato ma in realtà il voto va pacificamente e per direttissima ad un altro, in una lista bloccata. Siamo al più classico "pacco napoletano", quello che una volta ti vendevano in autostrada con l'immagine dello stereo o del videoregistratore, ma dentro c'erano solo pietre e vecchi giornali. Ti voltavi, ma erano già scappati.

Dalla Germania, se avessero tempo e voglia di seguire le nostre piccole cose, ci avrebbero già querelato per diffamazione, per la nostra sfrontataggine di chiamarlo "sistema tedesco", quando con la loro legge elettorale non c'entra un fico secco.

Che poi i nostrani segretari di partito siano tutti d'accordo, da Renzi, a Grillo, a Berlusconi, non sorprende affatto, atteso che avrebbero di nuovo potere assoluto su un Parlamento di nominati. Come deassoluto tutto i partiti furono d'accordo per il porcellum tenendolo vent'anni e se non fosse intervenuta la Corte costituzionale starebbe ancora lì, con noi oggi costretti amaramente a rilevare che sarebbe persino meglio, piuttosto che il grottesco che ora ci propongono.

Farebbero cosa saggia a dire che si sta scherzando che quel codicillo e' scappato all'ineffabile onorevole Fiano in un eccesso di zelo, mostrandolo a Renzi dandogli di gomito come faceva Franco Franchi con Ciccio Ingrassia; insomma si inventino qualcosa e buttino nel cestino la patacca che vogliamo credere nessun Presidente della Repubblica potrebbe mai promulgare.

Se la Corte costituzionale ha bocciato il porcellum perché non consentiva la scelta all'elettore, cosa volete che faccia di una norma che pretende addirittura di codificarne il tradimento? Il guaio è che la bocciatura della Consulta potrebbe avvenire solo a cose fatte, a voto avvenuto, ritrovandoci nuovamente con un Parlamento incostituzionalmente eletto.

No, non può succedere e non avverrà. Sarebbe troppo tra tragico e farsesco. Dovesse invece avvenire e diventare legge, l'unica risposta plausibile di un corpo elettorale ancora minimamente dignitoso, sarebbe solo, spiace dirlo, la diserzione di massa. Almeno saremmo noi a dire: abbiamo scherzato, ricominciamo da zero.

In realtà c'è un solo modo oggi per fare una legge elettorale decente ed è quello di seguire la strada costituzionalmente e comunitariamente obbligata, indicata a chiare lettere dagli indirizzi comunitari e della sentenza della Consulta sull'Italicum. Si dimentica infatti troppo spesso che il Consiglio di Europa ha diffidato gli Stati membri ad astenersi dal modificare alla vigilia del voto le ultime scelte di fondo in materia elettorale effettuate dai rispettivi parlamenti.

Ebbene la nostra ultima scelta di fondo è stata quella di tenere insieme rappresentanza e governabilità con un primo turno a riparto proporzionale e un ballottaggio per un premio di governabilità. È del tutto falso affermare che la Consulta avrebbe bocciato questa scelta, avendo invece censurato soltanto che anche al secondo turno non ci fosse una soglia di validità per accedere al premio, chiarendo espressamente che il ballottaggio in sé va benissimo. Ed allora la scelta obbligata, tra direttiva europea e sentenza della Corte, e' semplicemente quella di applicare anche al ballottaggio la soglia prevista per il primo turno e se mai sostituire le appiccicose preferenze con un semplice, ma questa volta vero, collegio uninominale.

Tutto qui. La stessa maggioranza che approvò l'Italicum non si vede perché non dovrebbe rivotarlo con la sola correzione voluta dalla Corte. Avremmo così molto agevolmente la sintesi più avanzata tra rappresentanza e possibile governabilità.
Troppo bello, troppo saggio e troppo semplice; quindi non si farà.

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Gianfranco Fini : Riciclaggio , sequestro di 1 milione di euro



Riciclaggio: sequestrato 1 milione di euro a Gianfranco Fini
Misura a carico dell'ex presidente della Camera

IL SANTO DELLA DESTRA, QUELLO CHE ACCUSAVA TUTTI DI ESSERE DEI LADRI, ADESSO SI SCOPRE A SUA VOLTA DI ESSERE UN ALTRO LADRONE.

La Guardia di Finanza sta eseguendo un decreto di sequestro preventivo su richiesta della Dda di Roma per un valore di un milione di euro nei confronti dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini. Il sequestro riguarda due polizze vita ed è relativo all'indagine che ha portato in carcere l'imprenditore Francesco Corallo e nella quale Fini è indagato per concorso in riciclaggio.

Il sequestro delle due polizze vita, con un valore di riscatto di 495 mila euro l'una è giustificato da inquirenti ed investigatori della Guardia di Finanza per il ruolo centrale di Gianfranco Fini in tutta la vicenda che ha portato in carcere Corallo e al sequestro di beni per un valore di sette milioni nei confronti della famiglia Tulliani. Secondo gli investigatori, Corallo assieme a Alessandro La Monica, Arturo Vespignani, Amedeo Laboccetta, Rudolf Theodoor e Anna Baetsen, avrebbero fatto parte di un'associazione a delinquere che avrebbe evaso le tasse e dedita al riciclaggio. I soldi, una volta ripuliti, sarebbero stati utilizzati da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche nell'acquisto di immobili che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.

"Il provvedimento di sequestro non è diretto in prima persona nei confronti di Gianfranco Fini. Sono state sequestrate le polizze intestate alle figlie sulla base dell'incapienza del patrimonio che doveva essere oggetto di sequestro nei confronti di Giancarlo Tulliani". Lo affermano gli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno, difensori dell'ex vicepremier ed ex ministro. Il provvedimento di sequestro, chiesto ed ottenuto dal pm Barbara Sargenti, sarà "impugnato al Tribunale del Riesame, davanti al quale verrà riaffermata l'assoluta estraneità dell'onorevole Fini ai fatti che gli sono contestati", aggiungono gli avvocati.

Gianfranco Fini rischia 12 anni di galera

Il cognato fuggito a Dubai, e dichiarato «irreperibile», ha un mandato di cattura puntato sopra la testa per un affare criminoso di cui Gianfranco Fini sarebbe considerato «l’ideatore». Il «socio» dell’ex presidente della Camera, per questa storia di riciclaggio internazionale, aspetta di essere estradato dall’isola dei Caraibi dov’èstato arrestato il 13 dicembre scorso. Lui (Gianfranco Fini), dunque, trema.

E ha tutto il diritto di avere una fifa blu. Se è vero, come scrive la giudice delle indagini preliminari (firmataria dei suddetti provvedimenti cautelari), che l’ex terza carica dello Stato «è la sola e vera ragione dei rapporti illeciti» con l’imprenditore delle slot machine, Francesco Corallo. E ancora, Gianfranco Fini per il magistrato «è l’uomo che introduce la famiglia Tulliani» e il cognato ricercato «nel disegno criminale». Usandoli addirittura come «prestanome», dopo avere stretto la relazione sentimentale con l’attuale compagna Elisabetta.

La tesi del gip Simonetta D’Alessandro, nell’ordinare il sequestro di 934 mila euro (depositati in due polizze intestate alle figlie di Fini), è in sostanza questa. E attribuisce proprio all’ex capo di Alleanza nazionale, nonché ex presidente della Camera, già vicepremier e ministro degli Esteri nel governo Berlusconi, la «centralità progettuale e decisionale» in tutta la vicenda del riciclaggio dei soldi sottratti all’erario (e al contribuente) mediante il business del gioco d’azzardo legalizzato gestito dall’imprenditore Corallo. E sempre Fini sarebbe l’artefice dell’affaire dell’appartamento di Montecarlo che fu della contessa Colleoni. Insomma, l’ex leader di An, per l’accusa, è il motore (non proprio immobile) intorno al quale avrebbe ruotato tutto il resto.

Con i parenti che, come scrive il gip, «si sono resi protagonisti seriali di numerosi episodi di riciclaggio, consumati in un lungo periodo che va dal 2008 e al 2015». Mentre il «legame» tra Fini e Francesco Corallo è «già cominciato nel 2004» come dichiara (senza essere smentito) l’ex parlamentare Amedeo Laboccetta (finiano passato nelle fila di Silvio Berlusconi quando ci fu la rottura). Gianfranco, a ragione, trema. E teme la galera.

NIENTE FUGA
Egli, a differenza del cognato Giancarlo, non è fuggito all’indomani dell’arresto di Corallo e delle perquisizioni ordinate dalla procura di Roma. Il gip D’Alessandro lo scrive chiaro nell’ordinanza: «Due giorni dopo la perquisizione avvenuta il 13 dicembre 2016 nel suo appartamento romano, GiancarloTulliani vola a Dubai. Contestualmente cerca di trasferire negli Emirati Arabi 520 mila euro depositati su un conto corrente del Monte dei Paschi». Come non bastasse, gli uomini dello lo Scico, nella perquisizione del 14 febbraio scoprono che la sua villa è stata abbandonata in fretta: i letti disfatti, la cassaforte svuotata, un sacco nero con fogli di carta triturati e al centro un fiocco verde a simboleggiare lo scherno per la stessa Finanza. Gianfranco Fini invece non è scappato. E non ha cercato, l’ex presidente della Camera considerato il «dominus», di movimentare il denaro considerato illecito e proveniente dal riciclaggio.

È rimasto a Roma con la compagna (coindagata) Elisabetta. E (proprio da dicembre 2016) si è limitato a interrompere i versamenti (non ha messo un centesimo in più) sulle due polizze assicurative (da 467 mila euro cadauna) intestate alle figliole e ora blindate dalla Guardia di Finanza.

Adesso gli inquirenti romani sono a caccia del gruzzolo («almeno 7 milioni di euro») che la famiglia Tulliani («per il tramite di Fini») avrebbe illecitamente intascato da Corallo e riciclato. E dopo averne sequestrati 5 (in beni mobili e immobili) a Giancarlo, Sergio (il suocero) e Elisabetta, sono passati a Fini e alle polizze assicurative, non avendo egli alcun bene intestato.

L’ACCUSATORE
Amedeo Labocceta resta il suo principale accusatore. Questi, arrestato (e scarcerato) per associazione a delinquere e riciclaggio, viene ritenuto credibile dai pm. Anzi, proprio grazie a questo testimone, gli inquirenti arrivano a ricostruire gli intrecci definiti «inquietanti» e «l’alleanza tra Corallo e Fini». Alleanza da cui l’imprenditore napoletano delle slot machine «ricava agevolazioni legislative e guadagni ultramilionari». Introiti per i quali Fini avrebbe chiesto e ottenuto il tornaconto. Gianfranco querela Amedeo Laboccetta, si fa interrogare dal pm ma non riesce a demolire la versione accusatoria del testimone.

I gravi indizi, a carico di Gianfranco Fini, dunque ci sarebbero. Ed egli ha motivo di preoccuparsi di finire in cella. Certo al momento, forse, mancano le esigenze cautelari. Oltre a non essere fuggito a Dubai, Gianfranco, non avrebbe di recente cercato di nascondere denaro. Così almeno sembra.

Può però inquinare le prove? Di fatto Fini indagato per riciclaggio, convive e parla con i familiari (cioè la moglie e il suocero) finiti sotto accusa insieme con lui per lo stesso reato. E se quindi si mettessero d’accordo sulla versione da dare ai magistrati? Nessuno può escluderlo. Interpellato al telefono dal Corriere della Sera, l’ex terza carica dello Stato, ha detto alla cronista che i soldi sono stati sequestrati alle sue figlie «sulla base dell’incapienza del patrimonio che doveva essere oggetto di sequestro nei confronti di Giancarlo Tulliani». E ha commentato: «Oltre al danno anche la beffa». Chissà, forse gli converrebbe dire una volta per tutte come sono andate le cose. Anche perché per il reato di cui è accusato rischia dai quattro ai dodici anni di carcere (articolo 648 bis del codice penale).

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sabato 3 giugno 2017

Costa Rica : Unico Stato Senza Esercito




Costa Rica, debutto mondiale del ministero della Pace



La Costa Rica è il primo paese al mondo a avere un ministero di questo tipo
Novità in vista nella Costa Rica: il piccolo Paese centro americano, infatti, sarà il primo Stato al mondo ad avere un ministero quasi esclusivamente dedicato alla Pace. Il testo della proposta di legge approvata dalla commissione parlamentare ora dovrà arrivare all'aula che senza ombra di dubbio lo approverà. Dunque, il ministero di Grazia e Giustizia cambierà nome e entro breve si trasformerà nel ministero della Giustizia e della Pace.

Ana Helena Chacon, la deputata che ha avviato le procedure per la proposta di legge, appoggiato dalla quasi totalità della società civile costaricense, ha fatto sapere che il progetto comprenderà anche la nascita di programmi per la diffusione della cultura di pace a tutto campo. "Sono molto felice e orgogliosa che questa mia proposta sia stata accettata. Così facendo diverremo uno dei paesi pionieri in materia. La Costa Rica è il primo paese dell'America Latina a avere questo tipo di ministero che combatterà anche contro la delinquenza giovanile" conclude l'onorevole.
Arrivare alla creazione del Sistema Nazionale della Promozione della Pace, poi, sarà un gioco da ragazzi. Il nuovo dicastero si occuperà della "promozione della Pace e della prevenzione e risoluzione dei conflitti". Saranno invitate a collaborare tutte le organizzazioni non governative che si dedicano alla diffusione della cultura della Pace e contro la violenza.
La Costa Rica da sempre è uno dei paesi del mondo più attenti al tema Pace. Molto nota in tutto il mondo è anche l'Università della Pace che si trova nella capitale San Josè.

Non solo: la Costa Rica non ha un esercito. 

Inoltre, il presidente Oscar Arias è stato insignito del premio Nobel per la Pace nel 1987 grazie al suo impegno contro le guerre che hanno devastato l'area negli anni '80. Anche Oggi Arias è impegnato come mediatore nei colloqui che dovrebbero portare a una soluzione della crisi politica che ha colpito l'Honduras.

Un paese disarmato è possibile? L’esempio della Costa Rica

L’abolizione dell’esercito è sempre sembrata un’utopia auspicabile solo da “fricchettoni” pacifisti. Ma c’è un Paese, la Costa Rica, che lo ha fatto 60 anni fa.

QUANDO LE SPESE MILITARI SPARISCONO – L’abolizione dell’esercito è sempre sembrato un sogno illusorio, un’utopia auspicabile solo da “fricchettoni” pacifisti, ignari dei rapporti internazionale da dover mantenere. Ma c’è un Paese, la Costa Rica, che lo ha fatto sessant’anni fa  per opera di José Figueres Ferrer, coriaceo figlio di catalani emigrati in America. Il 1° dicembre 1948, il paese era uscito da poco da una  guerra civile, che aveva provocato centinaia di morti. In breve, dopo due mesi di combattimenti, il socialdemocratico Ferrer assunse la direzione del governo provvisorio, nazionalizzò le banche e annunciò l’abolizione dell’esercito.

Dopo la firma del decreto legge, il presidente del governo provvisorio si recò alla caserma Bellavista, situata nella capitale San José e davanti alla folla, con una mazza, colpì simbolicamente il muro della caserma. Lo stesso giorno, Ferrer offrì la caserma Bellavista all’università della Costa Rica, che la trasformò in un museo. In questo gesto simbolico è racchiuso il motivo principale dell’abolizione dell’esercito: eliminare le spese militari per aumentare i fondi destinati all’istruzione e per migliorare le condizioni sanitarie di questo Paese. In effetti, attualmente la Costa Rica ha un tasso di alfabetizzazione del 96% e la speranza di vita, di quasi settantasette anni, è quella più alta in tutta l’America Latina.


IL POPOLO E’ D’ACCORDO – Da quando la Costa Rica ha deposto le armi non ci sono state né invasioni né guerre, nonostante l’America Centrale si possa sicuramente considerare una “zona calda” del mondo. Ad oggi, infatti, lo sforzo più grande per la Costa Rica è quello di mantenere questa cultura pacifista in un’area martoriata da continui conflitti. «Smettiamo di comprare armi per pagare più professori e più medici» non si è rivelato solo uno slogan sterile e retorico. Secondo la fondazione Arias per la pace e per il progresso umano, la soppressione delle forze armate permette di finanziare  le università pubbliche e tre interi ospedali.

Esiste però anche un rovescio della medaglia. Rosibel Salas Herrera, vicedirettrice di un istituto tecnico nella regione del Coto Brus, riconosce l’efficienza del sistema d’istruzione, ma ne critica le diseguaglianze. Mentre nella capitale gli studenti dispongono di computer e biblioteche, ritiene che nella regione in cui lei lavora la situazione non sia altrettanto edificante: i bambini sono costretti a seguire le lezioni in aule fatte di lamiere.

Nonostante ciò, nessuno pensa di rimettere in discussione la rinuncia delle spese militari. Per citare un avvenimento emblematico, solo nel 1985 l’America Centrale è stato teatro delle guerre in Guatemala, nel Salvador e in Nicaragua. Così, di fronte alla minaccia che il pericolo potesse raggiungere anche la Costa Rica, il governo aveva un’inchiesta tra la popolazione per sapere se fosse favorevole o no al ripristino delle forze armate. Ebbene, ben il 90% degli intervistati si è rivelato contrario.


L’ECONOMIA DELLA CULTURA – La Costarica è così diventato l’esempio di un Paese che ha costruito sull’assenza dell’istituzione militare la base per il suo sviluppo: è al 48° posto al mondo negli indici di sviluppo, mentre gli altri stati dell’America Centrale sono dietro ai primi cento. Qui le piazze, i monumenti e le vie non ricordano guerre o battaglie, ma i solidi principi su cui si basa questo  Paese:  piazza della Cultura, parco della Pace, la rotonda delle Garanzie Sociali si possono citare come esempi.

Probabilmente anche l’Italia potrebbe considerare questa come alternativa adatta per la riduzione del debito pubblico e il risanamento del pareggio di bilancio prendendo esempio dall’unico Paese al mondo che il giorno di festa nazionale fa sfilare gli studenti anziché i soldati. Le cifre riguardanti i soldi spesi dall’Italia nelle cosiddette “missioni di pace” rivelano un impegno di non poco conto in relazione ai sacrifici a cui sono chiamati gli italiani. E non solo in relazione all’aumento della pressione fiscale, ma anche ai tagli in settori sociali di primaria importanza quali istruzione, sanità ed altri.

Ma se il modello inaugurato più di cinquant’anni fa da Pepe Figueres  Ferrer ha portato la Costa Rica ad essere tra i primi posti  negli indici di sviluppo mondiale, cosa aspettano Stati europei come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia a seguire l’esempio di questo piccolo ma democratico Stato?

L'ITALIA SPENDE 50 MILIONI DI EURO AL GIORNO
IN ARMAMENTI


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giovedì 1 giugno 2017

Il Popolo vuole Decidere chi ci Governa



Sono stufo di sentirmi dire da molti di questi politici che la “gente”,
quando va a votare, vuole sapere chi governerà il giorno dopo il voto.
A parte il fastidio che provo nell’ascoltare questo termine “gente ”pronunciato con un tono vagamente dispregiativo o comunque paternalistico,
 attribuito a delle persone, ciascuna delle quali rappresenta innanzitutto un se stesso,
Ma chi l’ha detto che le cose stanno così?
A me interessa, visto che siamo in una democrazia, che viene definita costituzionalmente rappresentativa, mandare in Parlamento persone che ritengo degne di rappresentarmi per quello che sono, per come hanno operato, per le idee che difendono
e per i programmi conseguenti che si impegnano a sostenere.
Tutto questo in un rapporto dialettico con gli altri rappresentanti eletti
e in un solido e continuativo incontro con i propri elettori.
Questo mi interessa, ESSERE RAPPRESENTATO, naturalmente sono consapevole che la stessa democrazia rappresentativa prevede la formazione di organismi istituzionali e di un governo. Ma questo attiene alla capacità e alla responsabilità delle forze politiche e degli eletti.
Non si può chiedere a me cittadino-elettore di scegliere il governo che preferirei, intanto perché è implicito che vorrei vi fossero le idee. le persone e il partito che ho votato, ma soprattutto perché il mio voto chiede semplicemente delle risposte e una capacità di risolvere i vari problemi del Paese ( e non sto a farne il solito elenco trito e ritrito e che tutti abbiamo presente).
Se non c’è questa capacità, vorrà dire che si andrà ancora al voto e noi cittadini dovremo avere la capacità di fare le nostre valutazioni. (anche se questo è un discorso complesso che richiederebbe più spazio per una riflessione proprio sul tema della democrazia e del suo futuro).
E non mi pare che in altri dove questo è successo sia scoppiata una tragedia, anzi in alcuni casi le cose non sono poi andate così male in attesa di un ritorno a governi rappresentativi.
 Il Popolo vuole Decidere chi ci Governa.

.
COSA TI PORTA IL 2017 ?



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