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mercoledì 28 novembre 2012

Piazza Tahrir, in 200mila contro Morsi

Piazza Tahrir, in 200mila contro Morsi

Ancora proteste contro il regime dei Fratelli Musulmani: "Monopolizzano lo Stato". Washington: il prestito dell'FMI solo se il Paese sceglie la democrazia.

 - L'Egitto appare sull'orlo di una nuova rivoluzione. Ad un anno e mezzo dalla caduta del regime quarantennale di Hosni Mubarak, oggi piazza Tahrir si riempie di nuovo. Target delle manifestazioni è il presidente Mohammed Morsi, il primo democraticamente eletto nel Paese.

Questa mattina al Cairo sono proseguiti gli scontri, scoppiati la scorsa settimana contro il decreto presidenziale che priva la magistratura e ogni potere dello Stato del diritto di porre il veto su leggi e decisioni emesse dal presidente Morsi. In piazza Tahrir la polizia ha lanciato gas lacrimogeni per disperdere le centinaia di manifestanti riunitisi la scorsa notte per protestare contro il regime dei Fratelli Musulmani: ieri sera erano oltre 200mila gli egiziani nel cuore del Cairo. Gli scontri sono scoppiati vicino alla sede dell'ambasciata statunitense nella capitale, per poi trasferirsi nelle piazza simbolo della rivoluzione egiziana del 2011. Proteste anche a Port Said e nella città di Mahalla, dove rispettivamente 27 e 132 persone sono rimaste ferite. Ma è tutto l'Egitto a sollevarsi: manifestazioni si sono tenute in quasi tutte e 27 e province egiziane.

"La rivoluzione per salvare la rivoluzione", uno degli slogan dei manifestanti, organizzati dalle forze di opposizione. Secondo le fazioni di sinistra e non islamiste, il decreto imposto da Morsi giovedì scorso è un colpo di Stato, che nega l'indipendenza dei poteri dello Stato e accentra le più importanti prerogative nelle mani della sola presidenza.

In breve, i Fratelli Musulmani - la forza leader delle rivolte della Primavera egiziana dello scorso anno, insieme alle opposizioni laiche guidate da El Baradei - sono diventati l'oggetto delle proteste che, nei mesi passati, ribollivano sotto la cenere: da tempo le opposizioni criticano duramente il presidente Morsi e il partito Giustizia e Libertà (braccio politico della Fratellanza) perché starebbero velocemente monopolizzando il Paese.

Morsi si è difeso: il decreto è temporaneo, cesserà il suo effetto dopo l'entrata in vigore della nuova Costituzione. Ma all'Egitto questo non basta: con tali premesse, dall'Assemblea Costituente uscirebbe un testo non indipendente né libero, ma frutto dell'attuale regime politico.

E tra le conseguenze delle proteste c'è anche la rinnovata unità delle opposizioni, per lungo tempo divise. Simbolo della "riconciliazione" è il riavvicinamento tra Mohamed El Baradei, Nobel per la pace ed ex presidente dell'Agenzia Atomica, e Amr Mussa, candidato presidente alle ultime elezioni ed ex capo della Lega Araba.

Intervengono anche gli Stati Uniti che un anno fa, dopo aver abbandonato al suo destino l'ex alleato di ferro Mubarak, plaudirono all'elezione del leader dei Fratelli Musulmani Morsi. Dopo gli stretti contatti tra USA e Egitto durante i negoziati di tregua tra Israele e Hamas, Washington avverte il Cairo: gli aiuti internazionali potrebbero arrivare solo se il Paese sceglie la via democratica.

La portavoce del Dipartimento di Stato americano, Victoria Nuland, ha ricordato il prestito concesso la scorsa settimana all'Egitto dal Fondo Monetario Internazionale, 4,8 miliardi di dollari: "Vogliamo vedere l'Egitto proseguire sulla via delle riforme così che gli aiuti dell'FMI possano sostenere la stabilizzazione e la rivitalizzazione dell'economia, basata sulla legge di mercato". Nena News

 http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=42473
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