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lunedì 5 novembre 2012

Elezioni Usa, Obama-Romney, Palestina indifferente

 

Elezioni Usa, Palestinesi indifferenti

Scarso entusiasmo nei Territori: Obama o Romney, la politica mediorientale non cambierà. E se in Israele il 57% voterebbe repubblicano, gli ebrei americani appoggiano Obama

- Obama o Romney, in Palestina non farà poi grande differenza. Se svariati sondaggi danno la politica e l'opinione pubblica israeliana apertamente schierate con il candidato repubblicano, il rassegnato popolo palestinese non vede nelle elezioni presidenziali di domani alcuna prospettiva di cambiamento nella politica mediorientale a stelle e strisce.

Scarso entusiasmo al di là del Muro di Separazione: "La situazione negli Stati Uniti è nota: sosteranno Israele chiunque sia il nuovo presidente - spiega Muhanned Abdelhamid, analista politico di Ramallah - Sono gli Stati Uniti ad adattarsi alla realtà israeliana e alla natura del suo governo e non il contrario: ciò significa che le posizioni americane riguardo Israele sono sempre le stesse".

Per ragioni economiche, in primis: la potente lobby ebraica, capitanata dall'AIPAC, finanzia le campagne elettorali e copre grandi fette dei costi dei candidati. Si dice che ogni presidente americano che abbia vinto in passato, abbia ricevuto le chiavi della Casa Bianca solo grazie all'appoggio ebraico. Senza quei soldi, quei contatti, quelle pressioni, difficile che si vinca. Ultima mossa in campo finanziario dell'amministrazione Obama per assicurarsi il benvolere ebraico è stata l'estensione per altri quattro anni delle garanzie sui prestiti concessi a Tel Aviv: quattro miliardi di dollari di garanzie da qui al 2016.

E in campo di cooperazione militare Washington ha lanciato una settimana fa nel Mediterraneo e in Negev la più grande esercitazione congiunta tra Israele e Stati Uniti, un'operazione che durerà tre settimane, con il coinvolgimento di 3.500 soldati americani.

E a spegnere definitivamente le già flebili speranze palestinesi di un cambiamento di rotta della comunità internazionale, sono stati i primi quattro anni di amministrazione Obama: il primo presidente afroamericano a Washington aveva fatto sognare orizzonti di trasformazione - soprattutto dopo il noto discorso al Cairo con cui aprì al mondo arabo. Orizzonti subito traditi: nulla è cambiato, gli Stati Uniti non hanno messo in discussione il loro sostegno incondizionato a Tel Aviv, non hanno lavorato per gettare le basi di un processo di pace realistico (non imponendo ad Israele il congelamento dell'occupazione coloniale della Cisgiordania e di Gerusalemme Est) e hanno bloccato sul nascere il tentativo palestinese alle Nazioni Unite, nel settembre 2011.

Un anno fa il voto del Consiglio di Sicurezza sulla richiesta di ingresso della Palestina come Stato membro è stata bloccata dal veto americano. Ed oggi, a pochi giorni dalle elezioni, l'amministrazione di Washington chiede a Ramallah di posporre nuovamente la richiesta, stavolta molto più "moderata": l'intenzione del presidente Abbas sarebbe quella di presentarsi il 15 o il 29 novembre all'Assemblea Generale per chiedere il riconoscimento della Palestina come membro osservatore.

Insomma, Obama non accende l'entusiasmo palestinese. Dall'altra parte sta lo sfidante repubblicano Romney che dal canto suo accusa il popolo palestinese di essere il responsabile del conflitto: "I palestinesi non si interessano alla pace con Israele, un percorso verso la pace è assolutamente impensabile", aveva detto Romney a maggio, catturato e tradito da un video girato a sua insaputa durante una riunione.

All'epoca il candidato dei repubblicani aveva chiaramente espresso la sua opinione riguardo la politica che gli Stati Uniti dovrebbero adottare in Medio Oriente: quello israelo-palestinese è un problema senza soluzione, per cui non vale la pena spendere fatica e denaro, nella speranza che "in un modo o nell'altro, qualcosa arriverà a risolverlo".

I risultati dei sondaggi, viste le premesse, si ribaltano al di qua del Muro. Se il popolo palestinese guarda con scarsa attenzione a quanto accade oltre oceano, in Israele le posizioni sono chiare. Secondo il sondaggio pubblicato dall'Istituto Israeliano per la Democrazia/Peace Index, solo il 21,5% degli israeliani ritiene la politica di Obama vicina agli interessi d'Israele, contro il 57,2% che vede in Romney un fedele alleato.

"Gli israeliani sospettano di Obama e preferiscono Romney. Questo sia a causa del rapporto personale tra Obama e il premier Netanyahu che al raffreddamento delle relazioni a livello diplomatico", spiega Eytan Gilboa, professore alla Bar Ilan University, secondo il quale lo stesso primo ministro israeliano tifa Romney per le tensioni che hanno caratterizzato il suo rapporto con Obama (dagli screzi sul congelamento delle colonie all'aperto boicottaggio americano al piano di attacco militare israeliano contro l'Iran).

Eppure, se in Israele i sondaggi danno il Paese schierato con il partito repubblicano, negli Stati Uniti gli ebrei americani appoggiano strenuamente Obama il democratico: nel 2008 il 78% della popolazione americana di religione ebrea ha votato per l'attuale presidente, contro il 22% a favore dello sfidante McCain. Lo scarto è dovuto non solo alle visioni liberali della comunità ebraica, ma anche alla consapevolezza del sostegno - finanziario innanzitutto - che l'amministrazione democratica non ha mai fatto mancare ad Israele.

Tanto che oggi, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali, un sondaggio della Gallup dà Obama in vantaggio netto su Romney tra la comunità ebraica: 64% contro 25%.

di Emma Mancini 
http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=39935
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