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martedì 9 febbraio 2010

A KIEV : L'ARANCIONE NON E' PIU' DI MODA

A Kiev l'arancione non è più di moda

Nicola Melloni Università di Oxford


Le elezioni di domenica 7 febbraio confermano i limiti di una «rivoluzione» democratica piena di ombre.

Cinque anni fa, mentre il mondo del giornalismo e della politica inneggiava alla nuova rivoluzione democratica nell’Est post-Sovietico, quella dell’Ucraina arancione, Carta sollevava più di un dubbio. Chi c’era veramente dietro quella rivolta? Certo, forze popolari che chiedevano più trasparenza e, soprattutto, una vita migliore. Ma non solo. C’erano soprattutto interessi economici, oligarchi e pure lo zampino di qualche apparato di sicurezza occidentale interessato ad aver un governo amico al confine con la Russia. L’avevamo detto, la cosiddetta rivoluzione arancione porterà solo grande delusione al popolo ucraino. Molte erano le aspettative, nessuna è stata rispettata. La cronaca degli scorsi anni è stata prevedibile: scandali, corruzione, il fronte arancione diviso tra «l’idealista» Viktor Yuschenko e la molto più pragmatica [e immensamente ricca] Yulia Tymoshenko che, descritta inizialmente come la «pasionaria» del movimento si era attestata velocemente su una linea molto più pragmatica, perché in fondo, si sa, pecunia non olet. Continue crisi di governo ed elezioni anticipate avevano gettato i supporters arancioni nello sconforto.
Di conseguenza i risultati del primo turno delle presidenziali, il mese scorso, non erano stati una sorpresa per nessuno degli osservatori che nel 2005 esaltavano il filo-occidentale e democratico Yushenko. Il presidente uscente, scampato ad un tentativo di avvelenamento e acerrimo rivale di Putin, aveva ottenuto un misero 5 per cento. L’Ucraina ed il popolo arancione gli avevano voltato le spalle, stanchi delle tante parole mai seguite dai fatti di questi ultimi anni. Tymoshenko era riuscita ad arrivare al ballottaggio, seguendo a distanza l’immarcescibile Viktor Yanukovich, lo sconfitto ed umiliato cinque anni fa che si ripresentava con parole diverse ma con sostanzialmente la stessa linea: rapporti cordiali con la Russia, rappresentanza degli interessi delle regioni [e degli oligarchi] dell’Est del paese. Il secondo turno di domenica 7 febbraio ha confermato il primo turno. Yanukovich vince, ma non stravince. Nelle ultime settimane Tymoshenko ha provato di nuovo ad indossare l’abito arancione, con qualche successo. Il gap che era previsto rimanere di oltre 10 punti, come già al primo turno, si è assottigliato notevolmente. I risultati quasi ufficiali parlano di due o tre punti percentuali di distacco. Questo permetterà a Tymoshenko di gridare al complotto e a non riconoscere il risultato delle urne. Con quali possibilità di ripetere gli eventi del 2005? Difficile stabilirlo, ma il disincanto della popolazione ucraina sembra indicare che una riedizione della «rivoluzione democratica» sia improbabile.
Gli osservatori internazionali che un grande ruolo avevano giocato nelle scorse elezioni presidenziali denunciando i brogli pro-Yanukovich si sono al momento tenuti silenziosi. La Bbc parla di elezioni sostanzialmente corrette, il che sarebbe poi forse il miglior lascito della stagione arancione. D’altronde che sia l’opposizione a falsificare i risultati pare davvero improbabile. E lo stesso presidente Yuschenko non ha al momento parlato di brogli e sembra davvero difficile che possa sostenere Yulia Tymoshenko da lui considerata come una vera e propria traditrice del movimento democratico.
In America, Obama sembra assolutamente disinteressato alle sorti dell’Europa, avendo ben altri problemi cui pensare. Mentre una parte consistente della «vecchia» Europa sembra larvatamente tifare per Yanukovich o quantomeno è indifferente alle sorti dell’Ucraina. L’entrata nella Unione europea non è mai stata neanche presa in considerazione e la rivoluzione arancione ha creato solo una lunga serie di grattacapi a Roma e Berlino, a causa delle continue liti tra Russia e Ucraina e le conseguenti interruzioni nelle forniture di gas naturale. Anche Tymoshenko sembra aver preso coscienza della situazione e gli appelli anti-russi delle ultime ore prima del voto sono sembrati solo una ultima, disperata arma, per di più abbastanza spuntata. Quel che invece è sicuro è che, chiunque infine prevalga, per gli ucraini le cose cambieranno poco. Economia in recessione, oligarchi sempre più ricchi e il rimpianto di un’illusione comunque destinata a rimanere tale.

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