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martedì 5 gennaio 2010

Mattarella era il presidente della Regione Sicilia


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Il 6 gennaio 1980 viene assassinato in via Libertà, Mattarella era il presidente della Regione Sicilia, aveva 45 anni. Uomo di spicco della DC siciliana, l’unico leader dell’amministrazione regionale che manifestava una linea di rinnovamento, di apertura alla sinistra, molti lo consideravano un erede di Aldo Moro. L’artefice del cambiamento di linea era lui, figlio del potente Bernardo Mattarella molto potente è influente negli anni 50, presente in tutti i governi regionali di quegli anni,da molti indicato come il mandante della strage di Portella delle Ginestre. Piersanti faceva parte di una nuove generazione di politici, allievo dei gesuiti, erede di Dossetti e di La Pira, aveva cercato con forza di prendere le distanze dall’ingombrante eredità paterna.

Di tutti i delitti politici-mafiosi, l’omicidio di Mattarella è quello che interessa di più non soltanto per il significato di spartiacque che questo delitto assume nella sentenza di appello di Palermo tra l’Andreotti amico dei boss e l’Andreotti che gli dichiara guerra, ma anche perché nelle indagini fu coinvolto il terrorista Giusva Fioravanti, presunto killer di Pecorelli nella prima inchiesta della procura di Roma.

Mattarella aveva avuto sentore di quanto stava accadendo, infiniti segnali stavano a indicare che era in pericolo; era corso a Roma, dall’amico Virginio Rognoni, allora ministro dell’Interno, per raccontargli cosa stava accadendo nelle file del partito in Sicilia. Prima di partire aveva detto alla sua segretaria Maria Grazia Trizzino:< Se mi dovesse accadere qualcosa si ricordi di questo viaggio>. Che cosa abbia detto Piersanti a Rognoni, quali nomi abbia fatto, quali accuse abbia rivolto ai suoi colleghi di partito con esattezza non si sa, ma al centro dei suoi sospetti c’era ancora una volta Vito Ciancimino. Non a caso la difesa di Andreotti ha puntato a ridimensionare i rapporti tra il senatore e l’ex sindaco di Palermo:< Ho incontrato Ciancimino non più di due, tre volte, e in occasione di alcuni suoi viaggi a Roma>. E i giudici di Palermo gli hanno dato credito.



In verità erano molto complessi i rapporti tra Don Vito e gli uomini della corrente siciliana, Salvo Lima lo considerava da sempre un rivale nella complicata rete di interessi politico-mafiosi della DC siciliana; fu lui nel 1970 a farlo decadere dall’incarico di Sindaco,dopo solo dodici giorni, grazie all’accordo con la corrente di Gioia.

Ma dietro lo scontro politico c’era anche uno scontro di interessi mafiosi: Lima era legato a Bontate e ai Salvo, Ciancimino a Riina e Liggio. Nel corso del processo di Palermo ha certamente pesato nei confronti del senatore quel contributo di quaranta milioni dai suoi amici romani che consentì al barbiere di Corleone di dare la scalata alla DC siciliana a metà degli anni settanta.

Ma ciò avvenne nel “77 , prima che Don Vito giocasse il suo supposto ruolo nei delitti di Palermo, ciò che rendeva imbarazzante il riconoscimento di ogni possibile rapporto con lui.



Ma cosa lega l’uccisione del Presidente della Regione siciliana a quella di un giornalista romano troppo intraprendente e in cattiva fama? Il “movente politico”, sostiene una tesi: tutti e due sono delitti di mafia dove il mandante non doveva comparire, per questo i due omicidi dovevano essere camuffati come “terroristici”.

Uno scenario complicato, se vogliamo, ma che regge all’usura del tempo, anche se a mettere un bastone tra le ruote a questa ricostruzione è stato Don Masino-Buscetta, che, per una sorta di orgoglio mafioso, non è stato disponibile ad accettare il fatto che omicidi compiuti da Cosa Nostra potessero essere stati commissionati a ragazzetti che agivano al di fuori dello stretto controllo mafioso: < Signor giudice, mi creda, i terroristi non c’entrano niente, quello di Mattarella è stato fatto da Cosa Nostra, andate a vedere a chi furono affidati gli appalti dopo la sua morte,cose che fanno paura!>.

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