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giovedì 22 ottobre 2009

Il "Papello" stato-mafia



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Se il "Papello" parlasse del '94, Biondi e Maroni sarebbero in manette

Sono ormai giorni che si parla di questo cosiddetto "papello" che conterrebbe la prova provata di una trattativa segreta tra lo Stato, atterrito dagli attentati contro Falcone e Borsellino, e i rinvigoriti vertici della mafia per evitare nuove stragi. L'impressione prevalente, anche per chi non è un esperto di questioni mafiologiche, è che si tratti di una gigantesca bufala.

Eppure la vicenda ha messo in moto i ricordi e le contraddizioni di Luciano Violante, all'epoca presidente della Commissione Antimafia; ha portato alla testimonianza del procuratore antimafia, Pietro Grasso, che accredita l'ipotesi della trattativa segreta; ha indotto Pierluigi Battista a chiedersi giustamente perché sia stato possibile trattare con Cosa Nostra per salvare la vita ad altre potenziali e illustri vittime di attentati e non fare altrettanto con le Br per salvare la vita di Aldo Moro.

E ancora, sempre sull'onda del papello, si sono risvegliati i ricordi di Claudio Martelli, l'allora ministro delle Giustizia, che ha raccontato ai magistrati di Palermo i suoi sopetti sulla trattativa con i boss. Tanto che alla fine, l'attuale vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, all'epoca delle stragi ministro dell'Interno, si è sentito in dovere di scrivere al Corriere della Sera per testimoniare della sua estraneità ad ogni ipotesi di trattativa e lo stesso ha fatto Enzo Scotti, suo predecessore come guardasigilli, in varie interviste su radio e giornali.

Insomma bufala o no, qualcosa, per colpa di quel papello, si è messo in moto e non è qualcosa di limpido.

Una cosa però a me sembra assolutamente lampante: se quelle vicende, quelle stragi, si fossero svolte non nel 1992, durante i governi Amato e Ciampi, ma solo un paio d'anni dopo, nel 1994 in coincidenza con il primo governo Berlusconi e la nascita di Forza Italia, oggi il clima sarebbe molto diverso.

Non avremmo Mancino che dal suo scranno al Csm manda cortesi lettere di precisazioni al Corriere, ma avremmo l'allora (e attuale) ministro dell'Interno, Roberto Maroni già sotto accusa; e non avremmo Martelli intervistato a Anno Zero, ma l'allora ministro della Giustizia, Alfredo Biondi sarebbe forse già in manette.

Se la più vaga ipotesi di una trattativa tra Stato e mafia avesse avuto come scenario il primo governo di Silvio Berlusconi, oggi avremmo La Repubblica di Mauro in armi, appelli con milioni di firme per chiedere le dimissioni del premier in prima pagina, cortei antimfia per le città di tutta Italia al grido "chi non salta mafioso è", e tutti in marcia in calzini turchesi. I giornali di mezzo mondo avrebbero in copertina Berlusconi con coppola e lupara.

Se Marcello Dell'Utri è stato condannato a nove anni di carcere in primo grado con l'accusa di "concorso esterno in associazione mafiosa" per aver raccomandato Vittorio Mangano al posto di stalliere ad Arcore, pensate cosa avrebbe rischiato un ministro berlusconiano o lo stesso presidente del Consiglio se su di loro fosse caduto il sospetto di aver svenduto lo Stato ai boss.

Il papello invece rimanda ad un'altra epoca, ad altri interessi e ad altri potenti. Così tutto appare più composto e misurato, un minuetto di dichiarazioni e di complimenti reciproci, all'insegna della prudenza istituzionale e del fair play. Mancando l'ingrediente berlusconi, anche la sapida zuppa del papello suscita scarsi e svogliati appetiti.


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