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giovedì 30 luglio 2009

Pascua Lama: un popolo grida

Pascua Lama: un popolo grida

Javier Karmy Bolton

Il racconto della lotta dei movimenti sociali cileni e argentini contro la multinazionale Barrick Gold. Un brano tratto da «America latina dal basso. Storie di lotte quotidiane», a cura di Marco Coscione, edizioni Punto Rosso-Carta.

Il conflitto con la multinazionale Barrick Gold ed il suo progetto minerario “Pascua Lama” ci ha ricordato la secolare storia del saccheggio del continente latinoamericano. Cinque secoli esattamente uguali, le vene aperte, la ricerca del “El Dorado”, l’oro e l’oppressione dei popoli originari e lo sfruttamento della Madre Terra. Chi di noi si è avvicinato alla lotta contro la multinazionale canadese, avrà capito che questa supera i confini nazionali e gli obbiettivi del progetto. La cosa più importante, infatti, è stata riscattare l’acqua, bandiera della lotta per una vita sana, pulita e comunitaria, che si regga sulla fiducia reciproca; l’acqua, goccia a goccia, ci ha rafforzato per permetterci di trasformare le nostre strade in fiumi naturali che alimentano le nostre radici. Il giacimento rimane proprio là dove sgorgano le fonti d’acqua della millenaria Valle del Huasco, nella terza Regione (Atacama), dove esistono ancora grandi ghiacciai. Abbiamo rivalorizzato le nostre forme di vita più lontane dai soldi e più vicine alla tenera fiducia in noi stessi e nei nostri compagni, abbiamo avuto un’ulteriore conferma sul fatto che gli impegni di certi governanti rispondono solo ad interessi particolari e non certo a proteggere l’acqua che scende dalle montagne, dalla cordigliera andina.

$ile si vende…
Il nostro paese negoziò il sottosuolo nazionale ed i suoi minerali in cambio della fine della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1989). Questa ipotesi è sostenuta dal fatto che, sebbene la Costituzione del 1980 (ancora in vigore nonostante i ritocchi cosmetici durante il governo Lagos) sia il documento fondamentale contenente le basi del presente modello economico, dove l’industria mineraria è chiaramente prioritaria, i progetti minerari transnazionali cominciarono a concretizzarsi proprio agli inizi del primo governo della Concertación nel 1990, con l’allora presidente Patricio Aylwin (Democrazia Cristiana, DC). Agli inizi degli anni Novanta infatti, vennero varate delle leggi ancora più favorevoli e remissive nei confronti delle attività estrattive .
Ricordiamo che in Cile, già Eduardo Frei Montalva (DC) nazionalizzò il rame alla fine degli anni Sessanta e poi fu la volta di Salvador Allende (Unidad Popular, UP) che sul tema raggiunse l’unanimità del Congresso Nazionale. Diciassette anni dopo, Aylwin apriva il territorio nazionale al mercato ed alla mano invisibile delle transnazionali.
Inoltre, l’industria mineraria fu favorita dalla promulgazione del “Codice delle Acque”, in vigore dal 1982: l’acqua diventava un bene commerciabile nel mercato internazionale, amministrato centralmente e senza alcuna priorità nei confronti del consumo umano . Ossia, chi può pagare beve, chi non può… Come si può facilmente immaginare, una delle transnazionali più importanti nell’estrazione dell’oro deve possedere grandi risorse economiche. E allora arrivò in Cile, offrendoci così tanto che alcuni pensavano si trattasse di un’istituzione di beneficenza. Non solamente hanno comprato concessioni minerarie, “azioni” dell’acqua, e consegnato aiuti economici sotto forma di ambulanze, fondi per lo sviluppo sostenibile di alcune comunità e borse di studio per studenti; hanno anche firmato vari accordi con dipartimenti regionali di alcuni ministeri, hanno creato progetti con fondazioni di beneficenza come ad esempio la Teletón ed altre di tipo sportivo, come quella del calciatore Iván Zamorano; e hanno persino messo in scacco la Chiesa, quando un’istituzione legata alla Compagnia di Gesù s’impegnò con la Barrick a mettere in moto un progetto per migliorare la qualità di vita dei più poveri della comunità della Valle del Huasco, in aperta contraddizione con la comunità religiosa della zona, da in opposizione al progetto Pascua Lama.
Senza contare i campionati sportivi, i corsi di formazione e i libri che arrivano nella zona con la sua firma sul retro. In questo modo, la Barrick ha comprato poco a poco i favori dei dirigenti locali, provinciali, nazionali, delle organizzazioni sociali e politiche che ormai hanno espresso il loro appoggio pubblicamente. Tutto ciò con l’obbiettivo di sfruttare al massimo il giacimento più importante esistente al mondo, oggi valutato attorno ai 3 miliardi di dollari.

L’acqua vale più dell’oro…
Nella Valle del Huasco vivono poco più di 254.000 abitanti che si dedicano principalmente all’agricoltura e all’allevamento, seguendo il ciclo vitale di quest’angolino azzurro del pianeta che, nonostante si trovi nel deserto più arido del mondo, regala ai bambini rinfrescanti ruscelli provenienti dalle calde acque della terra.
Uomini e donne, contadini e contadine che bevono mate sotto il solo implacabile delle Ande; i bambini che gridano mentre si tuffano al fiume, i giovani occupati in varie attività per mantenere vive le loro amicizie; gli animali (capre, asini, cavalli), gli alberi e la terra coltivata a meloni, angurie, cipolle, alberi da frutta e, naturalmente, uva per la grande esportazione che ogni anno dà lavoro a 7.000 lavoratori stagionali; tutti hanno risentito della presenza della Barrick nella Valle. La comunità è divisa perché la multinazionale ha saputo introdursi nella vita quotidiana delle persone con i soldi, migliorando le strade ed i ponti, regalando computer agli alunni delle scuole rurali e assicurando un numero indefinito di “benefici” che cadranno dal cielo “grazie” alla Barrick… Sembra così essere più efficiente della burocrazia dello Stato nel rispondere alle “esigenze” della comunità.
Tuttavia, la prima conseguenza di queste azioni “benefiche” è stato lo smembramento della comunità per fare in modo che, poco a poco, perda fiducia nelle proprie capacità di autosostentamento ed autogestione, nel proprio modo di vivere in modo autonomo e pulito, e cominci a chiedere, ad aspettare solo le briciole di una transnazionale che si porta via milioni di dollari sotto forma d’oro e lascia un computer ad ogni bambino: un’assurdità.

Atterraggio della Barrick sulle Ande
La Barrick arrivò nella zona agli inizi degli anni Novanta, cominciando immediatamente a lavorare sui ghiacciai. Dopo la scoperta del giacimento, il 29 dicembre del 1997, la transnazionale canadese convinse le repubbliche cilena ed argentina a firmare il Trattato di “Cooperazione ed Integrazione Mineraria”. Questo trattato fu sottoscritto dai presidenti Frei e Menem con la scusa dell’integrazione tra i popoli dei due lati della cordigliera .
Questo trattato permette quindi all’industria mineraria di lavorare proprio sulla frontiera tra i due paesi: chilometri di zone protette militarmente. Per quanto riguarda il Cile, dalla Seconda Regione di Antofagasta nel nord del paese, fino a Punta Arena nella Dodicesima Regione, o regione antartica, nel Sud. Entrambe le repubbliche del Cono Sur, consegnano parte dei loro territori alla transnazionale, affinché questa ne sfrutti le risorse millenarie. Attenti studiosi del Trattato affermano che si viene a costituire una sorta di “paese virtuale”, né Cile né Argentina: sebbene il suolo è di entrambi i paesi, il sottosuolo viene ceduto all’industria mineraria. Infatti, solo le transnazionali del settore minerario possono entrare in questo spazio virtuale, dove i paesi hanno ceduto di fatto la sovranità. Secondo le dichiarazioni dei senatori dell’epoca, la Barrick si vantava di aver promosso questo accordo per mettere in moto il primo progetto binazionale nel mondo .
La cosa strana è che il Trattato in questione comprende anche la frontiera sud tra l’Argentina e il Cile, dove non c’è nessuna miniera. Al riguardo, nemmeno l’ex Presidente Eduardo Frei (figlio) fu in grado di rispondere quando, nel 2000, la Commissione lo interpellò sull’attività mineraria del Senato. Ma la risposta è semplice: nella regione australe i ghiacciai rappresentano un’enorme riserva d’acqua.
A livello locale, la transnazionale aveva già firmato un accordo di cofinanziamento con il Governo Regionale e la Direzione di Viabilità nel 1998, per asfaltare la strada C-489, la principale via d’accesso alla miniera. Strano, perché il governo regionale doveva anche partecipare alla valutazione d’impatto ambientale che la Barrick avrebbe poi presentato tre anni dopo. I sacerdoti che sulla cordigliera dicevano messa di ringraziamento per la presenza dell’oro, a partire del 2000 smisero di recarsi alla Barrick, perché i nuovi responsabili non ne gradivano la presenza. Nonostante questi sacerdoti raccontassero di essere trattati bene e che sempre scendevano a valle con “dolcetti e leccornie”, made in Barrick. Nel 2001, la Commissione Nazionale per l’Ambiente (Conama), approvò il Progetto Pascua Lama. La comunità non capì l’importanza di questa approvazione, ma comprese che in un certo senso la Barrick mentiva perché nascondeva il fatto che l’oro si trovava proprio sotto ai millenari ghiacciai. Così i piccoli, ma anche grandi, agricoltori cominciarono ad alzare la voce per cercare di ottenere risposte su come un progetto milionario come questo avrebbe protetto i ghiacciai.

Il conflitto si allarga…
Nel 2004, la Barrick presentò un ampliamento del suo progetto originario. A partire da questo momento, la comunità locale della Valle del Huasco, appoggiata da vari religiosi della zona, trasformò il conflitto locale in conflitto internazionale. Soprattutto grazie ad Internet e vari mezzi di comunicazione alternativi ed indipendenti, si diffusero diverse notizie sul famoso e ridicolo “Piano di gestione dei ghiacciai” presentato dalla Barrick alla Conama, dal 2001 in attesa di risposte in merito al problema del salvataggio dei ghiacciai. La transnazionale si vantava degli ottimi risultati ottenuti in Kirjistán durante il “trasferimento” di alcuni ghiacciai, ma non servì molto tempo per rendersi conto (e varie organizzazioni scientifiche lo denunciarono) che si trattava di un’altra menzogna.
Perciò sempre più gente iniziò ad opporsi al progetto Pascua Lama: per due anni ebbe luogo una lotta veramente intensa nella vallata, ma anche nella capitale, a Santiago, dove attivisti e mezzi di comunicazione presero la parola. Al centro del dibattito, naturalmente, vi erano i posti di lavoro creati dall’industria mineraria, ma allo stesso tempo diverse organizzazioni, collettivi ed anche politici cominciano seriamente a comunicare all’opinione pubblica nazionale i seri danni ambientali che il progetto avrebbe arrecato. Una domanda era sempre più evidente: ambiente o sviluppo economico? Per lo Stato cileno non fu difficile scegliere. Nel 2006 la Conama approva l’ampliamento del progetto, ma ad una condizione: non toccare i ghiacciai “Toro 1”, “Toro 2” e “Speranza”. Il 15 febbrario 2006 a Copiapò (capitale regionale della regione d’Atacama), nella sede regionale della Conama, ed a Santiago, davanti agli uffici della sede nazionale, gli attivisti cominciarono a protestare, rifiutando l’ennesima approvazione.
ONG, collettivi, organizzazioni ecologiste e la Chiesa locale dichiararono che Pascua Lama avrebbe significato la morte della Valle del Huasco. Dopo aver perso completamente la fiducia nelle istituzioni nazionali competenti, il movimento passa ad una nuova fase di lotta, alzando una bandiera: verde come la vita e bianca come i ghiacciai, una bandiera che ancora oggi sventola, mentre la forza del vento la sfilaccia poco a poco.

I ghiacciai non si toccano: aspetteremo che si sciolgano…
Tutti gli oppositori del progetto sapevano che approvarlo a condizione di non toccare i ghiacciai era solo uno scherzo: lo stesso direttore dei lavori, Ron Kettles, in un documento pubblicato poco tempo prima, spiegava gli innumerevoli interventi che dal 1977 erano stati realizzati nella zona, da diverse imprese. Inoltre, il documento spiega che, da quando è arrivata la Barrick, sono stati realizzati vari carotaggi, alcuni sul ghiacciaio Speranza, e sono stati costruiti diversi tunnel e sentieri. Addirittura è stata costruita una “struttura in cemento larga approssimativamente 3 metri e lunga 100, sui ghiacciai Toro 1 e Toro 2, per potervi transitare sopra senza danneggiarli” . Inoltre, la Direzione Generale delle Acque, organismo alle dipendenze del Ministero delle Opere Pubbliche, pubblicò (anche se in ritardo) un rapporto nel quale si affermava che i ghiacciai stavano subendo le conseguenze negative dei lavori della Barrick Gold, su una superficie tra il 50 ed il 70% della loro estensione. Il rapporto smentiva categoricamente che il problema fosse il cambio climatico, argomento sempre utilizzato dall’impresa.
Sommando queste informazioni al fatto che, in definitiva, l’impresa garantiva soltanto 1000 posti di lavoro nel periodo della costruzione e 600 nel periodo dell’estrazione e produzione (niente in confronto alle migliaia di occupati nell’agricoltura ogni anno), la comunità locale si mobilitò per difendere i ghiacciai e quindi l’acqua, unica risorsa indispensabile per l’agricoltura. Appoggiati dai collettivi e dalle ONG di Santiago, i cittadini della valle occuparono il crocevia di Conay/Chollay, nel gennaio del 2007. Per un mese, sotto un’improvvisata tenda che riparava dai forti raggi del sole ed attorno ad un fuoco che riscaldava le notti andine, i membri della comunità informavano la cittadinanza e tutte le persone che transitavano per quelle strade. Gli unici a non poter passare erano i veicoli dell’industria mineraria, che, a parte tutto, non avrebbero potuto transitare per strade così strette senza l’accompagnamento di una pattuglia dei carabinieri.
Mai prima di questo blocco, era accaduto qualcosa di simile nella valle: le forze dell’ordine dovettero chiedere rinforzi alle città limitrofe per poter riaprire la strada a tutti i mezzi. Vennero arrestate 50 persone, tra le quali autorità locali, donne e stranieri che per ore resistettero alla brutalità della polizia tenendosi solamente per mano, in circolo, e gridando “Acqua SÌ” ripetutamente. Il 15 febbraio, una serie di manifestazioni colorate e creative, ricordavano l’approvazione del progetto Pascua Lama.
Nella piccola località di Chigüinto, un gruppo di attivisti cominciò a fermare le auto regalando ai conducenti frutta ed acqua, e consegnando loro un volantino che diceva: “Questi sono i beni che vogliamo difendere”. In quei giorni, gente vicina alla Barrick, cominciò a rompere i freni o a bucare le ruote dei mezzi di trasporto utilizzati dai dirigenti locali, che misteriosamente cominciavano ad avere incidenti. Purtroppo non è mai stato possible accusare qualcuno per queste azioni criminali.
Il 7 giugno del 2007 venne convocata dalla comunità locale la quarta edizione della ormai tradizionale “Marcia per la Vita”: zampogne, bandiere, striscioni, colori e canzoni contro Pascua Lama e per la vita.
Durante tutto il 2007, si moltiplicarono le azioni ed il conflitto si mantenne vivo; il 9 febbraio 2008, in conseguenza della caduta dell’elicottero modello Lama CC-CER, l’impresa dichiarò: “Da quando abbiamo iniziato i lavori abbiamo avuto sette incidenti con conseguenze gravi” . La Barrick non ha voluto dare altre spiegazioni, ma la comunità ha già individuato 15 morti dall’inizio dei lavori; senza contare che l’impresa spesso preferisce comprare il silenzio dei familiari in lutto.
Cominciò allora la campagna “Unisciti contro Pascua Lama”: l’obbiettivo era “trasformare” ogni cittadino in un’antenna di comunicazione. Disegnandosi un simbolo sulle mani, l’idea era spiegare il conflitto ambientale a tutti coloro che domandassero il significato di quel disegno. Inoltre, si invitavano i partecipanti a mandare le loro foto.
Arrivarono migliaia di foto, veramente belle ed emozionanti… In questo modo sempre più gente si univa alla lotta.
La campagna ebbe luogo dal 22 marzo al 22 aprile, rispettivamente giorno dell’Acqua e della Terra e si chiuse con un’enorme mobilitazione per il centro della capitale .
Poco dopo, venne organizzata una manifestazione per celebrare il “CompleDanno Fatale” della Barrick, che nel 2008 compiva 25 anni e lasciava già 15 morti sulle colline della cordigliera della Valle del Huasco. Durante la performance davanti agli uffici della transnazionale a Santiago, gli attivisti lasciarono cadere uno ad uno dei grandi sacchi di spazzatura, che rappresentavano i morti caduti in questi anni. Per un minuto, il silenzio frenò la gioia e l’allegria della manifestazione e delle sue zampogne ad acqua… Ora colorate di nero.

Il narcotraffico, le cravatte e la nostra vita…
La Barrick controlla una rete di loschi personaggi che le assicurano la necessaria stabilità politica, sociale ed economica per portare avanti i suoi progetti. Su questi personaggi sono aperte inchieste che li vedono coinvolti in casi di narcotraffico, riciclaggio di denaro sporco, traffico d’influenze e pressioni illecite in diversi paesi. Ad esempio, l’arabo Adnan Khashoggi dovette lasciare l’impresa dopo essere stato scoperto durante il traffico di armi dello scandalo Iran-Contras in Nicaragua; fu catturato in Svizzera nel 1989 per una fuga di capitali del valore di 684 milioni di dollari del Tesoro Filippino. Ma non scontò alcuna pena, perché il suo socio e adesso ex presidente della Barrick, Peter Munk, pagò una cauzione di 4 milioni di dollari. Da allora e fino al dicembre del 2008, l’ebreo Peter Munk assunse la presidenza dell’impresa, negando apertamente le relazioni tra Khashoggi e la Barrick. Ma la multinazionale non poteva dimenticarsi di certi personaggi, così assunse il nuovo presidente Aaron Regent, chiamato a dare un altro volto all’impresa e cambiare la strategia, alquanto fetida, degli ex esecutivi. Un cambio d’immagine da milioni di dollari. La lista non finisce qui: anche George Bush padre e l’ex presidente canadese Brian Mulroney, da quando hanno lasciato i loro incarichi pubblici, fanno parte dell’onorevole consiglio dei consulenti della Barrick. E poi il magnate delle telecomunicazioni Gustavo Cisneros che come gli ex presidenti menzionati, fa parte della giunta direttiva e del consiglio dei consulenti internazionale della multinazionale. O il Andrónico Luksic, impresario cileno, fondatore del Gruppo Luksic.
Questa è solo una parte dell’estesa rete di ex presidenti ed ex ministri di Stato, impresari o funzionari pubblici che lavorano per rendere meno difficoltosa l’estrazione dell’oro disseminato nel sottosuolo dei loro paesi in vari continenti: Nord America, Africa, Oceania, Asia e America Latina… Lasciandosi alle spalle terre ed acque contaminate, ma anche morti all’interno le comunità colpite dai loro progetti milionari e tra i loro stessi lavoratori.

Per noi, un minuto di resistenza, è una vittoria…
Di fronte alla divisione che la Barrick ha provocato tra le comunità della Valle del Huasco, la lotta contro le nuove perforazioni e lo sfruttamento della sua più grande miniera acquista un significato sempre più profondo ogni minuto che passa. Ogni minuto per noi è una vittoria, per loro una sconfitta. Ogni minuto per noi è guadagnato e per loro è perso. E così li obblighiamo a rivedere i loro piani. Ogni minuto ripetiamo che la vita vale più del consumo d’acqua, che l’acqua è un tesoro e che la cultura della morte, propria di questi professionisti in giacca e cravatta, non ha nulla a che fare con i desideri delle nostre comunità.
Ci basta solo un minuto per convincerci che la prossima Marcia per la Vita sarà ancora migliore di quella di quest’anno, perché anche solo un minuto ci aiuta umilmente a raccogliere tutte le esperienze passate e continuare a lottare. Ci basta solo un minuto per arrabbiarci ed opporci a coloro che appoggiano lo sfruttamento minerario ma non vogliono dirlo; un minuto per denunciare coloro che credono che con la “responsabilità sociale d’impresa” si risolve tutto; solo un minuto per scegliere tra la vita e la morte, tra la terra fertile e la sottrazione illecita. Un minuto per noi, il nostro lavoro e quanto vi sia ancora da fare. Oggigiorno siamo in molti ad alzare la voce contro Pascua Lama, contro la Barrick, contro la cultura del denaro e del potere. La difesa dell’acqua è l’unico futuro possibile, per mantenere salde l’autodeterminazione e la vita comunitaria, fondamenta di quella fiducia costruita grazie agli sguardi trasparenti della nostra gente ed al riflesso di quest’acqua pura.
Un minuto e gridiamo “Acqua Sì, oro No!”, un minuto e chiacchieriamo di permacultura, agricoltura organica, commercio equo e solidale, Ayni, rispetto per la vita e cultura di vita. Un minuto e gioiamo, guardando un bambino tuffarsi nel fiume… Godiamo di quell’acqua che alimenta il nostro sangue, sotto il sole che illumina e riscalda il ciclo vitale, che scende dai ghiacciai eterni della cordigliera andina. Per noi, un minuto significa unirsi alla voce di una donna che prende il microfono per chiedere, senza alcuna paura e guardando dritto negli occhi dei politici e funzionari regionali: “Perché non ascoltate il clamore di un popolo che grida vogliamo vita, vogliamo acqua? Perché non la smettete di prenderci in giro? Perché non ci dite la verità? Perché non accogliete le nostre rimostranze? Siamo noi a votarvi! Quando volete questo voto ci cercate ma quando lottiamo per la nostra acqua ci voltate le spalle!” .

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