Le Carte Parlanti

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Mundimago

lunedì 13 luglio 2009

Ci dichiariamo clandestini

Ci dichiariamo clandestini
Pierluigi Sullo


Dal giorno dell’approvazione del cosiddetto «pacchetto sicurezza», insomma le leggi razziali, sta accadendo, qui nella redazione di Carta, qualcosa di non proprio inatteso ma certo sorprendente per dimensione: persone telefonano, vengono qui o visitano il sito bottega.carta.org per assicurarsi una o più magliette «Clandestino». Un nostro amico e abbonato che ho incontrato all’Aquila, al Forum sulla ricostruzione sociale, persona molto seria e mite che aveva sfidato la sorveglianza occhiuta della città del G8 circolando con la nostra maglietta, mi ha raccontato che il sabato prima, alla manifestazione di Vicenza, aveva incrociato molti altri che si «dichiaravano clandestini», come dice il nostro invito a comprarla: «E poi – ha aggiunto il nostro lettore – subito si stabiliva una complicità, tra noi ‘clandestini’». Un altro nostro socio dice che vuole lanciare nella sua regione, il Molise, una campagna simile a quella delle bandiere della pace, a suo tempo: una bandiera «Clandestino» ai balconi e alle finestre di casa [ebbene sì, abbiamo prodotto anche le bandiere]. Il responsabile del settore immigrazione della Cub, sindacato di base, ci scrive invece che dirsi «clandestino» è minoritario, molto meglio dire «siamo tutti cittadini». Gli ho risposto che le due cose non si escludono, e ho citato l’episodio caro al nostro amico Mario Pezzella, docente a Pisa: quando ad Auguste Blanqui, rivoluzionario francese processato per sovversione nell’Ottocento, il giudice chiese di declinare la sua professione, lui rispose: «Proletario». All’epoca la parola non significava altro che «proprietario solo di figli», cioè poveraccio, ma il fatto che Blanqui fosse riuscito a formalizzare su un atto processuale quella condizione, fino ad allora negativa, ne rovesciò il senso: quello che era quasi un insulto, divenne una nuova identità, da cui il celebre «proletari di tutto il mondo unitevi». Senza voler essere immodesti, abbiamo l’impressione che «clandestino» funzioni in modo simile, dato che la si indossa non solo per denunciare pubblicamente la legge razzista, ma anche in quanto cittadini [come dice il compagno della Cub] i cui diritti vengono calpestati, come a Vicenza o all’Aquila. Fatto sta che una maglietta escogitata lo scorso anno, e già diffusa in sei o settemila esemplari, oggi conosce una nuova, grande ondata di richieste [che per la verità non si era mai spenta, anche se era ridotta a uno sgocciolio quotidiano].

Non solo: all’Aquila c’era anche un’amica napoletana che indossava con fierezza professionale la maglietta «Clandestino Doc», inventata e prodotta in mille esemplari da un gruppo di medici dell’ospedale Gemelli di Roma: il «Doc» sta per dottore, infatti, e alle lettere è intrecciato uno stetoscopio. Quando ce lo dissero, noi dichiarammo la nostra contentezza per aver stimolato la loro creatività. «Io sono neonatologa – mi ha spiegato la compagna di Napoli – e lo sai cosa significa quella legge per i bambini dei migranti?». Purtroppo lo so: la paura di partorire in ospedale e di portarci il bambino. Un effetto talmente inumano, tra molti altri, che questa faccenda della maglietta è solo un pallido indizio di quel che sta succedendo nei piani di sotto della società, quella su cui quel tipo di leggi cadono come pietre. La si potrebbe chiamare ribellione civile, disobbedienza, auto-aiuto, o ancora moto di indignazione che tenta di organizzare da sé quel che lo Stato ha deciso di non fornire più, ossia la protezione sociale, la buona relazione tra abitanti, la salute pubblica, la tutela del diritto [quello della Costituzione, secondo la quale tutti gli esseri umani sono uguali, non solo quelli dotati di passaporto italiano]. «Io ospito i clandestini. E tu?», è la sfida che il parroco di Bonefro, in provincia di Campobasso, ha trasformato in uno striscione appeso all’ingresso della chiesa di San Nicola.

Manifestazioni e sit in sono annunciati in varie città, a Cecina si tiene l’annuale Meeting antirazzista e ad Oristano il festival promosso dall’associazione Dromos, il cui titolo è – guarda un po’ – «Clandestino». Moltiplicate per centinaia, per migliaia, le reti e associazioni e parrocchie che si stanno dando da fare per violare una legge inaccettabile per l’etica civile e per quella cristiana, e forse Maroni vi apparirà per quel che è: un mediocre investitore alla borsa dell’odio. La bolla speculativa del razzismo potrebbe scoppiare presto.

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