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martedì 21 luglio 2009

Carceri, dati sull'indulto: un successo

Carceri, ecco i dati sull'indulto: un successo

Lucia Alessi

Una nuova ricerca svela il crollo del tasso di recidività post-indulto. Ma in risposta al decreto sicurezza, il governo Berlusconi punta sulla costruzione di nuove carceri

A fine luglio 2006 veniva approvato il provvedimento di indulto, diventato per mesi uno dei punti più controversi del già difficile Prodi II. Il 14 luglio scorso, la parlamentare Rita Bernardini ha presentato alla camera lo studio «A tre anni dal provvedimento di clemenza. Indulto: la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità», portato avanti da un gruppo di ricercatori dell’università di Torino, coordinato da Giovanni Torrente, sociologo del diritto, che così sintetizza i risultati del lavoro: «Tutti sono convinti che l’indulto sia stato un fallimento, ma lo studio dei tassi di recidiva dei ‘liberati’ ci dice l’esatto contrario: è scesa al 27 per cento, di contro al 68 per cento di quella pre-indulto».
«Si dice in giro che l’indulto sia stato inutile e che le carceri italiane sono nuovamente affollate – spiega Rita Bernardini – ma senza quel provvedimento oggi, nelle strapiene carceri italiane, ci sarebbero tra i 10 e gli 11 mila detenuti in più. Con effetti tragici».
A commissionare la ricerca è stato l’allora sottosegretario alla giustizia e attuale presidente dell’associazione «A buon diritto», Luigi Manconi: «L’indulto è stato un provvedimento criminalizzato, di cui si parlava con vergogna, che ha subìto una campagna di disinformazione sui risultati e di alterazione degli esiti. Con questi numeri, a tre anni di distanza, possiamo rovesciare da cima a fondo tutti questi luoghi comuni e dimostrare l’inequivocabile successo del provvedimento di clemenza». Dalla ricerca emerge dunque che, tra coloro che hanno beneficiato dell’indulto, il tasso di recidività è del 30 per cento, mentre scende al 21 per cento tra chi ha ricevuto il beneficio mentre stava scontando la pena con misure di detenzione alternativa. Una recidività direttamente proporzionale alla «cancerizzazione», dunque: si parla del 52 per cento per chi ne aveva alle spalle cinque o più, del 18 per cento per chi era alla prima carcerazione, mentre la recidività non arriva al 12 per cento tra coloro che non avevano mai avuto esperienze carcerarie.
«Non hanno fatto in tempo a ‘carcerizzarsi’ – ha spiegato Torrente – incastrandosi in quelle dinamiche tipiche del carcere che in genere portano a introiettare comportamenti devianti e a perdere il contatto con le logiche del mondo libero». Andando poi a osservare la nazionalità degli indultati, i recidivi italiani sono il 31 per cento, mentre quelli stranieri soltanto il 21 per cento.
La ricerca costituisce la quarta tappa di uno studio di monitoraggio che ha visto altre elaborazioni a 6, 17 e 26 mesi dal provvedimento. L’ex sottosegretario Manconi ha raccontato che, con l’arrivo del nuovo governo, «i pochi fondi necessari per portare a termine un lavoro così importante, che costituisce un piccolo elemento di verità contro un’alterazione tanto profonda dell’indulto, erano stati tagliati», costringendolo a pagare di tasca propria la fase conclusiva dello studio.
Una ricerca che, ancora una volta, rivela come fortemente negativa l’esperienza carceraria, preferendo comunque le misure alternative, ma soprattutto in contrasto con il piano di edilizia carceraria del ministro Angelino Alfano e del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che puntano sulla costruzione di nuove carceri per risolvere il problema del sovraffollamento, soprattutto dopo l’approvazione del decreto sicurezza che porterà in prigione molti stranieri, rei di «soggiorno irregolare».
Una situazione, quella delle carceri italiane, destinata dunque a esplodere, in base a quanto si legge nell’ultimo rapporto dell’associazione Antigone, dal quale emerge che i detenuti hanno ormai raggiunto quota 63.460, ben 20 mila in più rispetto alla capienza e ben al di là della cosiddetta «capienza tollerabile». Di questi oltre il 52 per cento sono persone sottoposte a custodia cautelare in attesa di giudizio e ciò rappresenta una vera e propria anomalia, una situazione insostenibile sia per i detenuti che per il personale di vigilanza.
«Noi siamo contrari all’edilizia penitenziaria per ragioni di principio – ha detto Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione – ma qualcuno dovrebbe smascherare il ministro e dire ad alta voce che il suo piano è irrealizzabile. Franco Ionta è commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, e già quando c’è un commissario c’è un fallimento. Ci dice di voler creare 17 mila posti letto entro il 2012. Primo, con questi tassi di crescita della popolazione detenuta questi numeri sono inutili. Secondo, è impossibile dal punto di vista edilizio essere così veloci. Terzo, perfino dopo aver rubato dalla cassa delle Ammende, a tutt’altro destinata, il ministro sa bene che mancano i due terzi dei fondi necessari».

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