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sabato 18 aprile 2009

Con Guantanamo chiudono anche le prigioni segrete della Cia

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Anche i Black Sites, le carceri clandestine della Cia, sparse per il mondo, dovranno sigillare i battenti, sparire dal programma di lotta contro Al Qaeda dell’Agenzia. E questa volta, per davvero. Già, perché ufficialmente cancellate nel 2006, dopo un’ordine di George W. Bush, in realtà le prigioni segrete della Cia hanno continuato a funzionare, con il loro carico di ospiti, persone prelevate nei loro paesi di origine, rinchiuse e spesso torturate nei “buchi neri” perché sospettati di fare parte del network del terrore. Il fatto che fossero ancora operative, non è stata confermato solo ieri, dal documento che ne ha ordinato la chiusura, siglato dal neopresidente americano, ma anche dalle denunce fatte nei mesi precedenti dalle maggiori organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. In particolare, Amnesty International e Human Rights Watch un anno fa circa pubblicarono un rapporto secondo il quale almeno 39 persone, comprese diverse donne e forse anche minorenni, erano “sparite nel nulla”, sequestrate in paesi come l’Egitto, il Kenia, la Libia l’Iran e il Pakistan dagli agenti statunitensi per essere poi trasferiti nei Black Sites dell’Agenzia.

Nate nel 2002, con le azioni di Redemption, cioè i rapimenti dei presunti affiliati ai gruppi terroristici islamici, le prigioni clandestine della Central Intelligence Agency, diventarono - in breve tempo - un vero e proprio network carcerario mondiale segreto. Gli uomini di Langley le allestirono direttamente in Afghanistan e poi, dopo l’invasione, anche in Iraq; in paesi i cui governi avevano lo stesso interesse nel combattere il fondamentalismo, come Giordania, Egitto, Mauritania, o in luoghi inaccessibili come l’isola-base militare di Diego Garcia, in pieno Oceano Indiano. I Black Sites sorsero anche nel Vecchio Continente, secondo un’inchiesta condotta dal parlamentare svizzero Dick Marty per conto del Consiglio Europeo, dove gli agenti statunitensi sfruttarono specialmente le strutture che i servizi di sicurezza sovietici avevano costruito nell’Europa dell’Est.

Per i sospettati, erano luoghi di passaggio, prima di essere trasferiti a Camp Delta, a Guantanamo, oppure prima di finire in qualche carcere speciale del paese di origine. Della loro esistenza avevano parlato per prime, alcune inchieste giornalistiche. Poi si erano moltiplicate le denunce da parte delle organizzazione per la difesa dei diritti civili. Nel 2004, la clamorosa ammissione di George W. Bush: il presidente americano, in un discorso televisivo, confermò la loro esistenza e - anche dietro le pressioni internazionali - ne promise lo smantellamento. Ufficialmente, gli unici 14 ospiti, tutti leader di Al Qaeda, vennero portati a Guantanamo. In realtà, i Black Sites continuarono a “inghiottire” persone.

Chi sospettava che non fossero in realtà mai state chiuse, ne ebbe la prova nell’aprile del 2007, quando Abd Al-Hadi Al Iraq, un uomo accusato di essere un capo del network del terrore, venne portato da agenti della Cia a Guantanamo, confermando così che l’Agenzia continuava nella sua opera di sequestro e detenzione clandestina. La decisione di Barack Obama di firmare l’ordine esecutivo può provocare forti reazioni nella Cia. Molti sono adesso i funzionari che si “sentono in pericolo” per aver agito secondo le indicazioni della precedente amministrazione.

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